Impianti e rimpianti

Partenza verso le 8 e 30, un paio d’ore ci vogliono per arrivare all’appuntamento.
Piove. “Accidenti, parteciperà poca gente”, penso. Peccato, l’occasione mi sembrava importante. Una manifestazione, specie di questi tempi, è sempre una grande scommessa. Di Fabio Valentini

Il volantino della manifestazione

Arriviamo con l’auto presso il parcheggio della seggiovia “Direttissima” che dal Cavone porta su verso le piste da sci: siamo nel comune di Lizzano in Belvedere, provincia di Bologna, Parco regionale del Corno alle Scale. Questo impianto è stato realizzato nel 1999, la stazione di partenza si trova a 1454 m di quota, quella di arrivo a 1687 m; un poco più su, a quota 1775 m, si trova il lago Scaffaiolo e il rifugio CAI “Duca degli Abruzzi”, il più antico rifugio montano dell’Appennino Tosco-Emiliano inaugurato il 30 giugno 1887.
Nel frattempo non piove più, ci guardiamo intorno e spuntano bandiere e striscioni, la gente si moltiplica, alla fine si contano almeno 150 partecipanti. Radunati nei pressi della stazione di partenza, con la raccomandazione di mantenere il distanziamento sociale e l’uso delle mascherine sotto il controllo delle forze dell’ordine presenti, si riassumono brevemente le motivazioni della nostra presenza mentre esce un primo pallido sole.


Quattro anni fa, nel 2016, le regioni Emilia-Romagna e Toscana hanno firmato un protocollo per ottenere dallo Stato un finanziamento a fondo perduto di complessivi 20 milioni di euro, per creare un comprensorio sciistico tra le stazioni di Corno alle Scale, monte Cimone e Abetone, 120 km di piste con un unico skipass; le due regioni dovrebbero contribuire con altri 3 milioni di € a testa.
Parte di questo progetto complessivo è quello contestato oggi; si prevede di smantellare l’attuale “Direttissima”, seggiovia quadriposto con portata di 2400 persone/ora, insieme allo skilift in disuso verso il Cupolino, sostituendola con un nuovo impianto esaposto (quindi con portata decisamente maggiore), un’opera che costerebbe circa 7 milioni di euro più costi di demolizione e rinaturazione neppure ancora quantificati, per smantellare una seggiovia esistente, funzionante e costruirne un’altra sullo stesso tracciato ma prolungato di 200 metri lineari verso il lago Scaffaiolo.
Al di là del valore ambientale dell’area (il Corno alle Scale e le montagne vicine risultano il luogo con maggiore biodiversità in tutta la regione Emilia-Romagna) e delle condizioni climatiche spesso sfavorevoli (venti fortissimi, scarsa copertura nevosa, frequente presenza di nebbia), quello che non torna è proprio l’aspetto economico: infatti, a fronte delle scarse ricadute sul territorio (le ditte che costruiscono gli impianti vengono tutte da fuori), appare insensato smantellare una seggiovia già funzionante che ha superato il collaudo nel 2019 ottenendo il prolungamento di vita spendendo cifre ingenti che potrebbero essere impiegate altrimenti.
Mentre il sole inizia a scaldare, il lungo serpentone si avvia lungo la salita con alcune fermate per le foto di rito fino ad arrivare al rifugio: è ora di pranzo ma è impensabile approfittarne, è pieno di avventori, anche a seggiovia ferma, come spesso accade d’estate. In Emilia Romagna la stagione estiva pesa sul turismo montano per l’82% di presenze e per il 69% di arrivi, quindi con permanenze maggiori che in inverno (dati della Camera di Commercio di Reggio Emilia); gli attuali segnali di rallentamento sono da addebitarsi alla maturità del sistema ricettivo, tutti gli addetti ai lavori concordano che l’elemento mancante per una completa declinazione turistica della montagna verde e naturale è quello dell’ospitalità. Sarebbe dunque più opportuno dirottare le risorse previste per gli impianti sulla promozione di uno sviluppo appropriato della montagna, che ne tuteli e valorizzi le peculiarità ambientali e culturali, realizzando un’adeguata rete di ricettività e di ristorazione fondata sulle eccellenze agroalimentari della montagna; si vuole combattere lo spopolamento della montagna ma si chiudono scuole, uffici postali, strutture sanitarie, si smantella il tessuto sociale.

Scattiamo le ultime foto nei pressi del lago Scaffaiolo, tra i partecipanti un manifestante che si è da poco operato per una frattura al femore testimonia che anche i disabili possono fare a meno della seggiovia; è una delle motivazioni ricorrenti -inconsistente ma spesso utilizzata- per chi propone gli impianti, una foglia di fico le cui dimensioni si riducono sempre più. Alcuni presenti leggono un breve comunicato di adesione alla manifestazione da parte di Silvia Zamboni, vicepresidente dell’Assemblea legislativa dell’Emilia Romagna, che solo pochi giorni fa ha presentato un’interrogazione alla Giunta regionale. A seguito delle numerose polemiche che il progetto ha sollevato sul territorio, è stato realizzato uno studio denominato “Masterplan per la valorizzazione e lo sviluppo sostenibile del comprensorio di Corno alle Scale (quale stazione turistica estiva e invernale)”; se prima della realizzazione di tale studio tutti erano concordi sulla sua utilità per valutare quali alternative scegliere, solo pochi mesi dopo l’Assessore regionale al Turismo sosteneva che “il Masterplan è uno strumento volontario, che non ha un valore prescrittivo” e che “non si configura come atto di pianificazione sovraordinata o vincolistica-prescrittiva”. Presto spiegato: il Masterplan ha evidenziato come l’ipotesi della nuova funivia a tronco unico La Polla-Lago Scaffaiolo oggi contestata fosse in realtà risultata la meno sostenibile sia a livello tecnico-amministrativo che economico-sociale, mentre era preferibile puntare sull’adeguamento della “Direttissima” e su una nuova seggiovia “Direttissima-Cupolino” in sostituzione dello skilift dismesso.
Invece il Comune di Lizzano in Belvedere ha preferito portare avanti questo progetto, chiedendo oltretutto di verificare la sua assoggettabilità a VIA (il cosiddetto screening) tentando così di evitare la valutazione di impatto ambientale nonostante ci troviamo all’interno di un’area protetta; il Piano Territoriale del Parco regionale del Corno alle Scale (1977) prevede al paragrafo 3.9 che l’allargamento o l’impianto di nuove stazioni invernali rientrino tra le attività incompatibili con le finalità del Parco.
E’ con queste riflessioni che scendiamo lentamente verso le nostre auto ancora baciati dal sole, soddisfatti per l’andamento della giornata ma con l’amaro in bocca per la situazione generale. Arrivati al parcheggio decidiamo di non partire subito ma fermarci a mangiare un boccone al rifugio del Cavone, dopotutto contribuiamo all’economia locale! Qui facciamo due chiacchiere con il personale, e ci raccontano che quest’anno la raccolta dei mirtilli -qui un importante settore economico- è andata proprio male a causa delle condizioni climatiche sfavorevoli. Mentre percorriamo la strada del ritorno in auto ci imbattiamo in diverse interruzioni stradali causate da frane e smottamenti dell’asfalto, in queste zone dell’Appennino il terreno è tutt’altro che solido e queste emergenze sono una costante per chi vive qui. I problemi sono proprio tanti, possibile che si veda solo lo sci?
Eppure i buoni esempi sul territorio ci sono. La Via degli Dei ad esempio, itinerario escursionistico che in cinque/sei giorni di cammino porta da Bologna a Firenze, nel 2018 ha avuto 12.000 camminatori e negli ultimi due/tre anni si sono aperte 22 nuove strutture ricettive.
Di questo si rendono conto non solo gli ambientalisti “da salotto” o le formazioni politiche più legate ai temi ambientali, ma anche le piccole associazioni locali che trascorrono in montagna il proprio tempo libero; una di queste ha appena scritto una lettera aperta ai vertici della Regione per esporre le proprie perplessità sulle scelte di indirizzo attuate in materia di sviluppo dei territori montani, magari servirà a poco ma “questa volta non si può tacere…”.

Il modello dell’industria della neve è perpetuato da oltre cinquant’anni, nell’epoca del boom economico e delle precipitazioni nevose consistenti poteva avere un senso, ma gli impianti sciistici in Emilia Romagna da oltre vent’anni sono in gravissima perdita e i bilanci vengono sanati con appositi interventi dalla Regione ad ogni fine stagione. Una stima dell’OCSE prevede che entro il 2050 solo le aree sciistiche localizzate oltre i 1.800 metri sul livello del mare potranno lavorare in modo adeguato; inoltre secondo Federfuni, associazione italiana che rappresenta 150 aziende ed enti proprietari e/o esercenti il trasporto a fune in concessione sul territorio nazionale, l’incidenza del costo dell’innevamento artificiale pesa già, attualmente, per il 25-30% in più della media sui bilanci delle società che gestiscono gli impianti di risalita. Davvero si pensa di ridare energia ad un comprensorio posto al di sotto dei 1800 m, con il versante toscano esposto a sudovest, con precipitazioni diminuite negli ultimi trent’anni di oltre 100 mm/anno (corrispondenti a circa 1 m di neve al suolo), con durate del manto nevoso sempre inferiori per la caduta tardiva (febbraio) e lo scioglimento precoce (marzo)? Non sarebbe meglio studiare alternative per i posti di lavoro legate ad altre attività, e dare nuove speranze agli abitanti di queste vallate?

Fabio Valentini