La mia verità sulla Marmotta: botta e risposta tra Luigi Spagnolli e Carlo Alberto Pinelli

Dopo il successo della proiezione del documentario Corri Marmotta del 6 ottobre a Bolzano , Luigi Spagnolli scrive all’Alto Adige per rivendicare quello che, a suo dire, è il valore ecologico della caccia.

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Carlo Alberto Pinelli, autore del documentario, risponde di seguito a Luigi Spagnolli

Carlo Alberto Pinelli

Al dr Alberto Faustini,
direttore del quotidiano ALTO ADIGE, Bolzano.
Gentile Direttore, non intendo minimamente contestare quanto ha creduto opportuno precisare l’amico Luigi Spagnolli sulla genesi del mio documentario “Corri Marmotta”. Confermo la cortesia dei nostri incontri ( nei suoi uffici e al ristorante) e la disponibilità dell’assessorato Caccia e Pesca ad aiutarmi nell’organizzazione preliminare delle riprese, pur essendo Spagnolli perfettamente consapevole del “taglio” che avrebbe probabilmente assunto il documentario. Un atteggiamento che va senza dubbio a suo onore e non viene appannato dal tono un poco condiscendente del testo comparso su numero di venerdì 19 ottobre del quotidiano da lei diretto.
Lascio volentieri ad altri il compito, neppur troppo arduo, di dimostrare l’illegittimità sostanziale e l’inopportunità etica della deroga altoatesina che permette l’abbattimento delle marmotte quando tali innocui roditori siano considerati in eccesso. In questa sede vorrei soltanto chiarire quale sia la mia personale posizione – come ambientalista e non come regista – sulle attività venatorie in genere. Cioè, per essere chiari, sull’ uccisione della fauna selvatica per puro divertimento.


Non sono, purtroppo, vegetariano. E di questo mi vergogno. Dal punto di vista degli animali che finiscono nelle nostre padelle sono certo che sia preferibile nascere fagiano piuttosto che pollo di batteria. Entrambi vengono uccisi. Ma il primo per lo meno ha vissuto libero, beato e inconsapevole fino al giorno in cui un fucile lo ha inquadrato nel mirino. Il secondo ha incontrato la morte dopo una vita di continue e spesso efferate sofferenze. Viva la caccia dunque? Non direi. Mi permetto di fare una domanda paradossale che temo scandalizzerà più di un lettore: supponendo che in una nazione in cui la pena capitale ancora esiste si decidesse di non affidare più il compito a un boia professionista, che fa il suo sgradevole lavoro per dovere, ma di liberare il condannato in un grande parco, boscoso e recintato, invitando i cittadini armati di fucili a stanare quel disgraziato e a farlo fuori, voi sareste d’accordo? Morto per morto, almeno qualcuno si è divertito a cacciarlo. Ecco, al di là del paradosso, proprio questo è il punto. Quello che la mia coscienza considera inaccettabile non è tanto l’uccisione di un altro essere vivente, ma è il divertimento legato all’atto di uccidere. Gli esseri umani, fin dalla più lontana preistoria, hanno sempre praticato la caccia per ragioni alimentari. Bastano queste lontane radici a giustificare il divertimento dei cacciatori europei attuali? Vedo una radicale differenza tra l’indio Yanomami che ammazza un pecari nella foresta Amazzonica per sfamare la propria comunità, e l’imperatore Sassanide a cavallo che si diverte a mettere alla prova la propria bravura a spese di un leone ( neppure commestibile!) trafitto con la lancia. Poi ciascuno la pensi come vuole. In Italia la caccia sportiva è regolata ma non vietata. Spero che prima o poi siano le coscienze individuali a vietarla.
Ringrazio per lo spazio concessomi.
Carlo Alberto Pinelli
( definito ironicamente da Luigi Spagnolli come co-fondatore di Mountain Wilderness International e suo presidente onorario, regista, professore universitario, accademico del Club Alpino Italiano. Tutto vero…)

Carlo Alberto Pinelli