Lo scempio della ferrata Bepi Zac

Cementificazione delle montagne senza criteri e senza limiti. Con il grimaldello della sicurezza, i lavori sulla ferrata Bepi Zac, che dovevano essere una semplice bonifica di aggiornamento, si sono presto trasformati in un intervento invasivo con blocchi di cemento utilizzati per “consolidare” torrioni di dolomia pericolanti.

Da anni Mountain Wilderness si batte contro il proliferare di “ferrate sportive” che impongono pesanti opere di infrastrutturazione. Sappiamo bene, e questa ultima follia lo dimostra, che lasciar correre e chinare la testa di fronte al fatto compiuto significherebbe riconoscere implicitamente che l’abuso, qualora venga perseguito con sufficiente arroganza, nella nostra società può diventare una carta vincente; finisce col trasformarsi in norma.

Equipaggiare la montagna selvaggia con vie ferrate equivale ad addomesticare un ambiente geografico che trae il suo significato proprio dal proporsi come NON addomesticato e NON addomesticabile. L’antropizzazione forzata ed innaturale di questi spazi ne soffoca irrimediabilmente la vocazione: non li trasforma in docili schiavi. Li uccide.
Questi plinti in cemento sono li a dimostrarlo, limite estremo verso cui ancora nessuno si era spinto, sono li a dimostrarcelo.

La lettera di Luigi Casanova

Le Dolomiti sempre più umiliate. Ora sulle rocce arriva pure il cemento. Utile, si dice, a sostenere una ferrata da anni chiusa per motivi di sicurezza. E così doveva rimanere, un tracciato pubblicamente chiuso. Si tratta di una ferrata pericolosa, non solo per la caduta delle rocce (a meno di demolire Cima Uomo nessuno mai riuscirà a garantirne la sicurezza). Pericolosa anche per i fulmini che su di essa si abbattono con incredibile frequenza. Il Comune di Moena ha deciso di riaprire questo percorso andando a forzare la natura, come mai si era visto fare in precedenza, in nessun luogo. Si è portato sulle rocce più aspre e infide cemento armato e ferraglia. Offendendo la montagna e i frequentatori “puliti”.


Da anni su queste rocce, Costabella, Cima Uomo, ma anche Verso Punta Allochet e i Monzoni, cercatori di residui di guerra si sono impadroniti della montagna intervenendo, in assenza di progetti e di controlli, sostenuti anche da istituzioni pubbliche, nell’aprire, abusivamente, grotte della guerra, alloggi dei militari, ricostruendo trincee perdute. Il tutto per valorizzare, come si dice con eccesso di frequenza, un ambito naturale, uno scenario unico. Da anni sulle creste di passo San Pellegrino e verso la valle di San Nicolò e i Monzoni, ci si chiede dove stia la vigilanza ambientale, chi e perchè permetta a singole persone di intervenire su beni pubblici (le montagne, gli spazi aperti). La questione ferrata di Bepi Zac sollevata dal notiziario Il Dolomiti apre un discorso più complesso. Chi porta la responsabilità su tutte le artificialità che sono state imposte a queste creste? Chi sono gli operatori che vi hanno lavorato, chi li ha autorizzati ad interventi tanto pesanti e sulla base di quali progetti? Un’ultima domanda. La SAT locale su un simile scempio paesaggistico manterrà il solito pesante silenzio?
Luigi Casanova