Le nostre foreste depauperate e umiliate.
Quanto è desolante vedere consolidata l’assenza di cultura ambientale nelle opinioni di nostri residenti riguardo la gestione delle foreste o l’arrivo di nuove specie animali sul territorio, siano questi ex generali o semplici opinionisti. Di Luigi Casanova.
A una profonda ignoranza della complessità della natura si accompagna, diffuso, l’odio contro una categoria composita di cittadini definiti in modo denigratorio “ambientalisti”, o peggio, ”animalisti”. Un odio profondo, alimentato dai vertici istituzionali, come confermano alcune riflessioni che mi vengono portate da cittadini “- …non fare il mio nome, ti prego, ho dei figli e già sono sottoposti a isolamento, anche nello sport, anche nella scuola…”. Un Trentino triste, che alimenta rancori invece di investire in umiltà e studiare, ascoltare, confrontarsi, anche in modo severo, ma con una chiara visione del futuro.
I cambiamenti climatici in atto, velocissimi, ci trasportano da una emergenza all’altra, da infiniti dolori a territori sconvolti, sono il vero tema da affrontare, con coerenza tra il dire e il fare. Non è questa epoca di commissariamenti, quanto sta avvenendo è un processo strutturale che per essere affrontato ha bisogno di progettualità nuova, programmazione, pianificazione severa, capace di letture di lungo periodo. Questo è il grande problema dell’umanità, un problema alimentato da diffuse guerre provocate e da intere popolazioni che muoiono di fame causa l’ingordigia di un mondo che si definisce occidentale e democratico, quindi, comunque sempre suprematista, lo si legga da destra o sinistra.
A parte questo tassello non proprio trascurabile ritorno alle amate foreste, o meglio, alla gestione dei nostri semplici e sempre più poveri boschi. Si dice che siano stati gli ambientalisti a imporre determinati sistemi di selvicoltura, ritenuti fallimentari e che siano state le imposizioni degli ambientalisti la causa delle tempeste di vento e degli attacchi di parassiti. Veramente una visione obiettiva dei fatti ci porta a dire che gli ambientalisti (da non confondere con i verdi) non hanno mai governato, da nessuna parte del pianeta. Le scelte su come intervenire sono state compiute dalla cultura capitalista, di destra e di sinistra, cioè dal solo mercato. Si toglie una pianta qua e una là? Ma dai. A parte il sistema delle certificazioni prive di credibilità, percorsi inutili e privi di controllo popolare, la selvicoltura da decenni segue quanto detta la tecnologia, in funzione della fame delle teleferiche, dell’economia. Le “martellate” non sono eseguite sulla base di conoscenze tecniche e del rispetto della natura presente, cioè di scelta scientifica reale. I boschi maturi sono stati cancellati, nelle Alpi non vi è più una sola foresta naturale (in Europa rappresentano solo lo 0,7% della superficie forestale), ovunque il territorio boscato viene frammentato (linee elettriche, strade e piste forestali sempre più invasive, tracce di teleferiche fino a quote impensabili, lungo la viabilità principale si impongono corridoi privi di alberatura sempre più ampi, nel bosco entrano macchine operatrici insostenibili). Ovunque i suoli perdono fertilità, quindi capacità autorigenerativa e produttiva. In Alto Adige, checché ne dica il sign. Cozzio, la situazione è analoga, solo c’è più efficienza nell’indebolire il sistema.
Un solo fatto è certo. Non c’è più gestione del territorio. Nè dei sentieri, nè delle strade forestali, né della qualità dei pascoli alpini. Lavori che costano troppo: si sono cancellate le squadre di operai forestali, provinciali e delle comunità pubbliche, comuni e ASUC.
Come ricostruire un patrimonio forestale che avvicini il più possibile la naturalità? Con scelte dolorose, come avvenuto nel dopoguerra. Una nuova pianificazione forestale, il potenziamento delle superfici di protezione. La difesa coraggiosa dei boschi maturi e stramaturi, assecondare il più possibile la naturalità dei boschi, quindi la rinnovazione naturale. Una gestione lontana dalla deriva economicista, riprendendo in mano picconi e badili nella manutenzione ordinaria della viabilità forestale. E specialmente imponendo al mondo degli allevatori attenzioni specifiche nel recupero della qualità dei pascoli in alta quota. E ancora, imparando a convivere con la fauna selvatica, anche con i grandi predatori, ritornando a offrire attenzione alla microfauna, al mondo dei batteri, dei funghi, a quanto ci sfugge della complessità di un ecosistema forestale. C’è bisogno di altre attenzioni, anche nella cultura di quanti oggi sono chiamati a gestire questo straordinario patrimonio, il 63% della superficie del territorio provinciale. Investendo nel coraggio di imporre ai politici, assessori provinciali, sindaci e presidenti delle ASUC dei no vincolanti. La qualità del nostro futuro, anche economico, è dettato dal potenziamento della biodiversità naturale, non certo dal conteggio dei metri cubi di legname che annualmente portiamo a valle.
Luigi Casanova