L’alpinismo è patrimonio UNESCO. Una lettera di Pinelli a Repubblica scatena le ire di Simone Moro
Nei giorni scori veniva annunciato l’inserimento dell’alpinismo tra i patrimoni culturali, naturali e immateriali dell’Unesco e dell’umanità.
Le posizioni e le perplessità di Carlo Alberto Pinelli erano note da tempi non sospetti.
In una lettera a Repubblica, Pinelli ha ribadito alcuni concetti tanto da scatenare un vero e proprio caso mediatico.
Riportiamo, per completezza di informazioni, la lettera di Pinelli, la risposta di Corrado Augias e la risposta finale di Pinelli a Moro che, con una missiva privata, aveva reagito con estrema violenza verbale.
Quello che le montagne non dicono.
La lettera di Pinelli a Repubblica
Caro Corrado Augias, ho dedicato all’alpinismo buona metà della mia vita e ancora frequento le grandi montagne dell’Asia, ma il riconoscimento Alpinismo bene immateriale mi sembra una retorica presa in giro. Negli ultimi anni, accanto all’alpinismo, sono stati incorniciati alla parete dei beni immateriali dell’Unesco altri improbabili santini, come i percorsi della transumanza o le feste popolari per il raccolto del grano. Il “riconoscimento” è giunto mentre uno dei più famosi alpinisti del mondo sta trascorrendo un mese chiuso dentro una camera ipobarica, per acclimatarsi artificialmente alle alte quote del Karakorum, così evitando le incertezze dell’acclimatazione naturale lungo la marcia di avvicinamento. Immagino che si farà trasportare in elicottero al campo base dei Gasherbrum. Una bella istantanea da inserire nella cornice dorata del “bene immateriale”! Il mondo dell’alpinismo non ha mosso un dito per contrastare la costruzione della nuova funivia Skyway con arrivo sulla punta Helbronner.
Barbarici interventi antropizzanti delle alte quote. Penso di mettere in giro una maglietta con scritto: Alpinismo bene immateriale: Not in my name.
La risposta di Augias
Carlo Alberto Pinelli, il giorno che sancisce con ogni probabilità l’uscita dell’Inghilterra dall’Unione Europea (per la Scozia vedremo), questa rubrica è dedicata, su stimolo appassionato del signor Pinelli, alle montagne. Non sembri un voler girare lo sguardo da un’altra parte.
Tra l’altro la Brexit ha da parte di tutti i giornali del mondo, compresa Repubblica , l’attenzione che merita e le preoccupate analisi sul possibile futuro che include quello di centinaia di migliaia di italiani che lavorano nell’isola. In un giorno così la rubrica è invece dedicata alle montagne e all’entusiasmo di chi le scala e percorre con rispettoso amore. Di questo nessuno mai si occupa mentre avvengono manomissioni gravissime destinate a cambiarne per sempre la fisionomia. Alcune tra le montagne più belle del mondo sono italiane. Dalla Val d’Aosta alle Dolomiti quella che si chiama enfaticamente la corona delle Alpi offre a chi ancora ama guardare in alto (in senso proprio e figurato) le più ampie possibilità di un impegno che non è solo quello dei muscoli e dei polmoni, include lo spirito. Forse dovrei scrivere offriva perché funivie ed elicotteri hanno reso l’alpinismo austero dell’arrampicata sempre più raro. Dopo la decisione dell’Unesco l’alpinismo è entrato in un discutibile empireo di cui fanno già parte carnevali esotici, teatri delle ombre, cantastorie dell’Asia Centrale, musiche dei Pigmei, condimenti polinesiani, danze baltiche, scuole di samba brasiliane. Per quel che riguarda l’Italia, sono entrati in quel pantheon : il canto “a tenore” dei pastori sardi, l’opera dei pupi siciliana, la dieta mediterranea. In una parte della lettera che ho dovuto omettere Pinelli scriveva che: «molto più seria sarebbe stata la proposta d’inserire il massiccio reale del Monte Bianco tra i monumenti naturali del mondo». Questo però avrebbe contrastato i disegni di sviluppo turistico ai quali anche le povere montagne, alte che siano, dovranno finire per sottomettersi perché così gira il mondo.
La risposta di Pinelli a Simone Moro
Simone Moro ha reagito con estrema violenza e con un linguaggio forse non proprio “da educanda” alla mia lettera pubblicata in forma riassuntiva nella rubrica de La Repubblica curata da Corrado Augias con un ottimo commento. Gli ho risposto cortesemente, riconoscendo l’inesattezza della mia supposizione sulla possibilità che lui e Tamara avessero in animo di raggiungere in elicottero il campo base dei Gasherbrums, per tesaurizzare al meglio l’acclimatamento ottenuto artificialmente in una camera ipobarica. Nella mia risposta lo invitavo a rendere di dominio pubblico il nostro scambio di e-mail con le mie parziali scuse. Per quel che mi riguardava la cosa poteva finire lì. Invece ho ricevuto una seconda lettera ancora più violenta in cui – tra un insulto e l’altro – si prende a pretesto l’accaduto per lanciare accuse a mio avviso del tutto ingiustificate e fuori luogo sulla serietà dell’impegno in difesa delle montagne degli ambientalisti, liquidati come superficiali orecchianti e miopi integralisti da strapazzo. In entrambe le sue lettere Moro sostiene di essersi sottoposto alla “tortura” della camera ipobarica per puro amore della ricerca scientifica e dunque, di conseguenza, non per trarne un vantaggio in vista della sua imminente spedizione invernale in Karakorum. Nobile proposito. Di cui però si trovano scarse tracce visitando il sito bolzanino dell’Eura Research e terraXcube, dove l’esperimento in questione con i due grandi alpinisti viene descritto come un sistema artificiale per ottenere un acclimatamento perfetto almeno fino a 6400 metri. Punto e basta. Anche le indagini sul de-acclimatamento possono interessare solo una porzione infinitesimale di appassionati di montagna. Nel caso specifico, nessun accenno a vantaggi nella ricerca di cure anti tumorali e cardiache che, secondo Moro, “ potrebbero salvare te e il tuo culo”. Del resto le notizie mediatiche avevano già annunciato quella segregazione ipobarica come uno stratagemma per limitare i tempi di acclimatamento in loco, nel gelo del campo base. Senza destare negli interessati reazioni di rigetto. Il mio giudizio negativo celava alla radice l’ antiquata visione dell’alpinismo di “un vecchio di 84 anni” ( come più di una volta insinua Moro), ma voleva avere soprattutto un significato paradossale e andava letto nell’ottica della recente promozione dell’Alpinismo a bene immateriale dell’umanità. Del cui valore sono tutt’altro che convinto. A questo punto infatti diventerebbe necessario definire cosa è alpinismo e cosa non lo è. Con gravi conseguenze per la libertà di ciascun alpinista. L’utilizzazione dell’acclimatamento ipobarico rientrerebbe nella definizione? E chi si arrogherà il diritto di fissare tali regole? L’UIAA di cui il nostro CAI non fa nemmeno più parte? La stessa UNESCO? Certo, come scrivevo più in alto, ho sbagliato a supporre l’ uso dell’elicottero. E sono lieto che questo non accadrà, perché considero la marcia di avvicinamento una parte integrante e non eliminabile di una grande ascensione himalayana. Mi sorprende però in questo caso la reazione indignata di Simone Moro. Era ben nota infatti la sua posizione a favore di quel mezzo di trasporto aereo, non solo per il soccorso o per il rifornimento dei rifugi, ma anche per il turismo ludico e l’avvicinamento ai campi base. Se ha finalmente cambiato idea, non posso che rallegrarmene.
Forse Simone Moro era ancora troppo giovane per prender parte al convegno del CAAI che diede vita a Mountain Wilderness trent’anni fa. E allora concludo questo mio intervento citando uno dei paragrafi conclusivi delle Tesi di Biella, votate allora, all’unanimità, da alpinisti di tutto il mondo.
2.6 – L’inquinamento delle coscienze è meno visibile dell’inquinamento da rifiuti, ma non per questo meno dannoso. Ne deriva che sugli alpinisti, soprattutto quelli che per le loro imprese hanno acquistato tra il pubblico degli appassionati un particolare prestigio, ricade una pesante responsabilità. I loro comportamenti verranno presi a modello, i loro esempi verranno seguiti. Inutile dunque predicare il valore formativo dell’avventura in montagna, o sottoscrivere manifesti in difesa della wilderness, se poi si rinuncia ad agire con assoluta coerenza quando entrano in gioco l’affermazione personale, l’agonismo o altri interessi sportivi ed economici. Nessun alpinista può arrogarsi il diritto di giudicare dall’esterno le motivazioni interiori di altri alpinisti, né criticare le loro scelte basate su libere regole del gioco, contrabbandandole come confini morali. Tuttavia è fin troppo ovvio che la credibilità nel campo della difesa della qualità dell’ambiente montano dipende totalmente dalla coerenza di ciascuno.
Al momento non credo di avere altro da aggiungere. Devo occuparmi della tutela delle montagne e lo continuerò a fare con l’abituale, tenace “superficialità”.