Aree protette: legge quadro e cambio di orizzonte

La vicenda che riguarda le modifiche della legge quadro sulle aree protette (394/1991) dimostra con evidenza il cambio di orizzonte tra un primo tempo caratterizzato da una gestione territoriale innovativa per creatività e per coinvolgimento, frutto della condivisione dell’alta missione attribuita dalla legge alle aree protette, e un secondo tempo in cui si assiste al progressivo affievolimento dei valori e dei principi fondamentali, a una gestion compromissoria, all’emersione di una burocrazia sempre più paralizzante.

Parco Nazionale della Valgrande, VB. Foto: Luigi Ranzani

Già nel 2013, con la riduzione del consiglio direttivo dei parchi nazionali, era stata eliminata la componente scientifica (dpr 73). A ciò si aggiunga che le nomine ministeriali di questi anni hanno portato alla prevalenza delle
rappresentanze locali.
Le proposte di modifica non approvate nella scorsa legislatura e ripresentate in questa propongono addirittura di inserire nel consiglio un rappresentante degli agricoltori o dei pescatori in violazione del principio della legge quadro secondo cui il consiglio è formato da rappresentanti di interessi generali e non corporativi.
Delle modifiche già approvate vanno ricordate anche quelle relative al Parco Nazionale dello Stelvio (2015), che rischia di essere smembrato in tre porzioni (Lombardia, Trentino, Alto Adige), e al Parco del Delta del Po (2018), per il quale è stata eliminata la prospettiva del parco nazionale: unico caso tra i grandi fiumi europei di un delta che non è parco nazionale.
Per non parlare dell’assorbimento del Corpo Forestale dello Stato nell’Arma dei Carabinieri (2016), oltre tutto viziato da un’evidente illegittimità costituzionale, da cui consegue che la sorveglianza dei parchi si presenta oggi con il volto ostile di chi reprime anziché con il volto amico di chi aiuta a immergersi nella natura.
Quanto alle modifiche contenute nelle proposte queste violano la legge quadro in altri due principi fondamentali: la centralità della natura, con la soppressione della Carta della natura, e l’intangibilità del territorio, con l’introduzione del perverso sistema delle royalties che apre il varco a opere e attività impattanti.

Ghiacciai dello Stelvio – foto Archvio MW Italia

Completano il degrado i criteri di nomina degli organi e del direttore dei parchi nazionali che portano a una gestione condotta esclusivamente in base alle scelte e ai condizionamenti imposti dalla politica locale.
Occorre trarre le conclusioni da questo attacco al sistema di valori che in tutto il pianeta è alla base della istituzione e della diffusione delle aree protette e in particolare dei parchi.
Va detto innanzi tutto che il futuro delle aree protette oggi non si gioca sulla riforma della legge, ma sulla capacità delle istituzioni, delle associazioni, dei singoli di costruire strategie adeguate conservando come riferimento la legge quadro, unanimemente riconosciuta come una grande legge. Dobbiamo però porci due interrogativi: resta il parco un istituto adeguato oppure servono nuovi strumenti per difendere la natura sempre più violentemente aggredita? Vi sono oggi le condizioni per affrontare il cambiamento o di fronte alla forza degli aggressori e alla diffusione di una cultura che non è in grado di cogliere il valore profondo delle aree protette non rimane che arrendersi?
Sono convinto che i parchi possano conservare e consolidare il ruolo previsto dalla legge se si riuscirà a romperne l’insularità, a collegarli a tutto il territorio rilevante dal punto di vista naturalistico e paesaggistico, a farne un vero modello di gestione.
Sono altresì convinto che le attuali grandi difficoltà possano essere affrontate solo da un movimento che riesca a superare al suo interno incomprensioni e rivalità per ritrovarsi unito sui grandi obiettivi ideali e per costruire così i necessari percorsi strategici.
La Carta di Fontecchio del 2014, fortemente voluta da MW, costituisce una base importante in questa direzione.

Carlo Alberto Graziani