Autoparchi nazionali

Il giornalismo deve ridursi a contenitore pubblicitario? E’ così che gli editori pensano di risolvere la crisi dei giornali? Con quanti lettori si ritroveranno?

Pubblichiamo, per gentile concessione di GognaBlog, questa feroce critica all’iniziativa del Corriere della Sera

Il 20 giugno 2018 usciva il settimanale Corriere Motori, supplemento al quotidiano Corriere della Sera. Le 64 pagine dell’edizione, a parte quelle riservate alla pubblicità, sono tutte dedicate ai parchi nazionali italiani, con l’aggiunta di qualche parco regionale, in modo da coprire approssimativamente tutto il territorio italiano, per un totale di una dozzina di location diverse.

A ciascun parco è associato un personaggio di maggiore o minore notorietà, per esempio Gustavo Thoeni al parco dello Stelvio, oppure Fabio Valbusa al Parco dei Monti Lessini, oppure ancora Mauro Corona al Parco regionale delle Dolomiti Friulane. E a ciascun parco è associata un’auto, ad esempio alle Cinque Terre è associata la Jaguar E-Pace, come la Citroën C3 Aircross lo è al Parco Naturale di Paneveggio.

Precede l’esposizione delle proposte turistiche un articolo di Ornella D’Alessio teso alla dimostrazione che si può viaggiare slow anche in auto. Nulla da dire sul concetto che si può utilizzare l’automobile anche in modo corretto: del resto tutti noi utilizziamo l’auto, dunque non è questo il punto.

La Hyundai Kona 4×4 nel Gran Paradiso e l’incontro con uno stambecco.

 

Il punto è che in queste 64 pagine non è detta parola sulle escursioni a piedi. Ci sono centinaia di informazioni di come ci si arriva, cosa si può fare in automobile, dove si mangia, dove si dorme, le curiosità. E fine.

E’ questo lo spirito per cui i parchi sono stati istituiti? O non sarà invece che qui la natura è presa a prestito per sdoganare modelli di auto più o meno adatti all’osservazione (comoda e da lontano) della natura?

Gli articoli sono tutti scritti da giornalisti competenti che, in tutta evidenza, si sono documentati e hanno fatto bene il loro lavoro. Ma è proprio l’efficienza di questi servizi giornalistici a rendere ancora più pericoloso il messaggio dell’auto immersa nella natura. Se gli articoli fossero stati approssimativi non sarebbe stato così grave, avrebbero lasciato poco segno.

Qui noi abbiamo preso ad esempio il Parco nazionale del Gran Paradiso, del quale riportiamo il relativo testo.

Il paradiso dei grandi stambecchi

di Andrea Nicastro
(pubblicato su Corriere Motori del 20 giugno 2018)
Foto di Marcello Fauci

Nel corso dei suoi 81 splendidi anni Elena Videsott ha conquistato tre lauree e vissuto almeno altrettante vite. Le radici sono in Val Badìa, culla trentina delle estati di bambina. Le nonne la coccolavano a strudel e lei le ha onorate con una laurea m Filologia ladina. La crescita è stata a Torino. Lì ha studiato, si è sposata, ha insegnato, ha avuto figli. Era la vita programmata da papà Renzo. La ragazza avrebbe preferito essere veterinaria come lui, ma erano tempi diversi. «Non è un mestiere da donna, meglio insegnare». Ed ecco la laurea in Lingue.

Infine c’è il Gran Paradiso. Ancora oggi, dire Videsott su quella montagna tra Piemonte e Val d’Aosta fa pensare al direttore storico, il pioniere che creò il Parco Nazionale come lo conosciamo oggi: un’oasi incredibile, a due passi dall’autostrada eppure incontaminata, capace di competere per bellezza e imponenza degli animali con Yosemite e la ristretta élite dei grandi parchi del mondo. Sono montagne ripide, selvagge che la facevano piangere di fatica e d’incanto. Così, appena Elena ha potuto prepensionarsi dalla scuola, ha cominciato la sua terza vita e si è laureata in veterinaria.

«Renzo Videsott, mio padre, direttore del Gran Paradiso per 25 anni, era travolgente, eccessivo. Durante la II Guerra Mondiale trovò un bollettino del CAI sul rischio estinzione degli stambecchi. “Possano le schiere con le corna ondeggianti trovare un protettore al posto di Vittorio Emanuele II. Ne fu folgorato, il protettore doveva essere lui».

Già a metà ‘8oo gli stambecchi si erano ridotti a duecento. I Savoia li difesero istituendo sul massiccio del Gran Paradiso la loro riserva di caccia prima e il Parco Nazionale dopo. D numero di animali san fino a 2.500, ma con la guerra arrivò la fame. «Partigianì, tedeschi e repubblichini li abbattevano a colpi di mitra per farne bistecche. Ne rimasero vivi 419».

Elena ricorda mentre la Hyundai Kona sale verso il Parco: è una 4×4 adatta ai tornanti violenti. Per la «figlia Videsott» è l’ennesimo ritorno. «Forse l’ultimo». All’altezza dì Saint-Vincent, indica la Statale. «Nel 1944 laggiù c’era un posto di blocco tedesco. Mio padre era andato in bicicletta dai partigiani e aveva dei messaggi per il comando di Torino. L’avessero scoperto sarebbe stato fucilato. Nascose la busta sotto sei corna di stambecco legate al porta pacchi. I tedeschi risero di quel matto e non lo fermarono».

Elena Videsott, figlia di Renzo

Il Videsott partigiano spara pochi colpi, ma aiuta nel reclutamento e nella logistica. Appena arrivano gli americani, Videsott ottiene di diventare commissario straordinario dell’Ente Parco e poi direttore. Anzi «parchigiano» come diceva lui.

«Pur di procurare qualcosa alle guardie faceva anticamera da prefetti, sindaci, generali». «Quando l’esercito smobiliterà — scrive — vorrei ricevere per il Parco una Jeep, quattro muli di preda bellica con relativi basti, cannocchiali a grande ingrandimento, calze, guanti, grasso anti congelamento, vetri per riparare i casotti».

Secondo Bruno Bassano, l’attuale veterinario del Parco, «Videsott ha salvato per la seconda volta gli stambecchi dall’estinzione. Con lui le guardie dovevano seguirli passo a passo. Appena arrivava chiedeva: “Dove sono?”».

È la figlia Elena ad ammettere: «Non era amato. Con la sua energia da rocciatore sfiancava anche le guardie. “Gli stambecchi sono sull’altipiano? Bene, andiamo a vedere”. Sapevano dì non poterlo imbrogliare. Una volta, avrò avuto 15 anni, appena finita la scuola, ci portò a Cogne in auto e da lì alle 3 del mattino dopo partimmo per una traversata che non finiva più: Valnontey, Rifugio Sella, Herbetet, Pousset. Tornammo a Cogne col buio, le gambe rigide, le lacrime di dolore, lui neanche una smorfia. Voleva essere dappertutto per controllare anche in alta montagna».

Per proteggere gli stambecchi Videsott avviò il ripopolamento delle Alpi. Ci sono ormai «corna ondeggianti» dalla Francia alla Slovenia. «Fino a 20 anni fa c’erano ancora bracconieri che cacciavano per abitudine o per i ristoranti — sorride quasi nostalgico Roberto Gaglietto, il decano dei guardaparco —. Oggi è tutto diverso. I giovani non sparano più di frodo, al massimo mettono come suoneria del telefonino il verso di un animale. Anche le guardie sono cambiate. Una volta eravamo pastori o montanari, oggi le nuove reclute sono laureate e abbiamo anche due ragazze davvero tostissime pure loro». «Ci sono due nemici che prima non si consideravano — spiega il veterinario —: la variabilità genetica e il cambiamento climatico». La specie umana ha una variabilità alta che ci permette di resistere alle malattie e adattarci all’ambiente. I panda giganti e gli stambecchi no, perché a un passo dall’estinzione si sono accoppiati tra pochi consanguinei. «La nuova frontiera della loro protezione passa dal genoma. È vero che tutti derivano dal Gran Paradiso, ma alcuni esemplari fuori dal Parco resistono meglio ai virus. Se promuovessimo incroci tra branchi separati potremmo magari migliorare la loro variabilità genetica».

Il segreto dei geni rinforzati sta forse negli affari che i valligiani facevano alle spalle di Videsott. Uno stambecco venduto agli svizzeri valeva come 203 mucche da latte, così i pastori crescevano dei quasi-stambecchi nell’ovile. Come? Lasciavano libera una capra perché si accoppiasse. La recuperavano e, se nasceva una femmina e anche questa si incrociava con gli stambecchi in libertà, il cucciolo aveva l’aspetto di un vero stambecco e potevano venderlo con meno rischi. Quei geni resistenti che l’Università di Zurigo sta scoprendo potrebbero discendere da quegli animali «contraffatti».

Il cambiamento climatico, a dispetto del negazionista Donald Trump, nel Gran Paradiso è tangibile. Si riducono i ghiacciai, sale la linea dei boschi, persino certe piante indispensabili al letargo delle marmotte crescono ora a quote diverse dalle tane. Generazioni di roditori abitano quei buchi da mezzo secolo e non sanno quali erbe aiutino il letargo e quali riempiano solo la pancia. Così aumentano i risvegli durante l’inverno, perdono più calorie e molti cuccioli non arrivano a primavera. Per gli stambecchi invece il problema, spiega il veterinario, è differente. «Le nevicate, se ci sono, vengono tardi e coprono i pascoli poche settimane. Non abbastanza per esaurire la scorta di grasso. Così manca la selezione naturale: i vecchi non muoiono. Ci sono animali di 17 anni, cosa impensabile solo pochi decenni fa. Un bene? Probabilmente no. Femmine vecchie fanno cuccioli deboli e la mortalità dei neonati è passata dal 30 al 70 per cento».

Per genetica o surriscaldamento, gli stambecchi sono diminuiti da 5.000 a 2.700. In compenso per la prima volta sono arrivati nel Parco cervi, caprioli e cinghiali. Non c’è competizione tra loro perché molti pascoli abbandonati sono ritornati bosco. Gli stambecchi non lasceranno le rocce e i cervi non usciranno dal bosco. Grazie a Videsott e ai tanti dopo di lui c’è ancora tanto Paradiso per tutti.

Mauro Corona e il Corriere Motori

La considerazioni del GognaBlog

Se potesse leggerlo, questo articolo farebbe rivoltare Videsott nella tomba. Ripeto, è fatto bene, non riporta cose per sentito dire come tanti altri, è proprio da leggere: centratissima è l’intervista alla figlia Elena che parla del padre, ma anche le battute del veterinario del Parco e del decano dei guardaparco. Ma è evidente che tutti sono ignari del vero scopo del servizio giornalistico, cui queste interviste sono giocoforza subordinate. E’ sostanzialmente un giro dei parchi in automobile, ecco il perché del nostro titolo provocatorio, Autoparchi nazionali.

Accanto al pezzo di Nicastro (e questo si ripete per tutti gli altri parchi), nella stessa pagina, è il colonnone dedicato al modello di auto usato in quel caso. Per il Gran Paradiso ci sono le lodi e la scheda tecnica della Hyundai-Kona a trazione integrale. E questo già basterebbe.

Il Parco del Gran Paradiso viene definito “un’oasi incontaminata a due passi dall’autostrada”, dalla quale ”la Hyunday-Kona, una 4×4 adatta ai tornanti violenti, sale al Parco” (ovviamente lungo la strada del Nivolé) .

Al lettore viene da pensare: che bello, prima o poi lo voglio fare anche io (ma darà la preferenza all’acquisto della Hyunday-Kona o alla visita al parco?).

Non è la prima pubblicità che vediamo, con auto bellissime inserite in una cornice naturale incontaminata e stupenda, dove “puoi vivere l’avventura” e soprattutto “non avere limiti”. Il messaggio non è poi molto diverso da quello parecchio in voga ancora adesso di associare un bel modello d’auto a una bella ragazza, vestita con l’arroganza di una classe esibita oppure un po’ discinta, a seconda dei casi.

“Non una parola sulla strada del Nivolé, che fu imposta a Videsott anche dall’Ente Parco (come ricorda la targa del presidente Anselmi sul valico). Non una parola sulle enormi contaminazioni che gli impianti idro-elettrici, serviti dalla strada, hanno portato in quella che era davvero un’oasi. Non una parola sui blandi tentativi odierni di ridurre lo straripante traffico estivo al Nivolé, che certamente viene incoraggiato dall’articolo” commenta Francesco Framarin.

Le pubblicità manifeste di auto nella natura o l’ancor più sottile suggestione di queste 64 pagine promozionali sono un vero e proprio veleno per una società che fa molta fatica a riconoscerlo come tale, preferendo il comodo plauso a queste proposte “mozzafiato”.

Il parco va visitato camminando, neppure da lontano lo si può eticamente associare a un’automobile. Qualunque tentativo in questo senso è evidentemente dettato da esigenze di marketing.

“In facebook Michele Comi, guida alpina, ha denunciato per primo lo scandaloso servizio del Corriere Motori con la partecipazione, tra gli altri, di Mauro Corona… Se tutti sono ignari dello scopo delle interviste, c’è da augurarsi che costoro denuncino il Corriere. E che cosa dicono i direttori dei Parchi che hanno dato l’autorizzazione alle riprese?” aggiunge Roberto Serafin.