Il ponte sul Gran Sasso

Fosche nubi si addensano sul Gran Sasso, e non si tratta di un temporale estivo.

E’ il completamento di un’opera di conquista iniziata diversi anni fa dapprima con l’accerchiamento, poi con gli scavi sotterranei, infine con l’assalto alle pareti: la grande fortezza, come in un poema epico medioevale, sta per cedere all’attacco delle forze maligne? Nella terra d’Abruzzo le difese sono allo stremo. Le riserve d’acqua sono diminuite, e si tenta di avvelenare le sorgenti rimaste; si studiano nuove gallerie che minano il cuore del massiccio; aumentano le seggiovie che risalgono le pendici montuose…
Sembra fantasy, è dura realtà. La lotta per la tutela del Gran Sasso d’Italia, iniziata nei lontani anni settanta, nonostante l’istituzione del Parco nel 1991 non si è mai interrotta: nemmeno una legge dello Stato è servita a tranquillizzare i suoi difensori, che cos’altro serve? Forse una maggiore coscienza civica, ed un più ampio sforzo di carattere culturale da parte di amministrazioni e cittadini.
Quello che da sempre viene proposto nell’area del Gran Sasso è un modello di sviluppo che non ha futuro. La cementificazione, le montagne addomesticate, a cosa porteranno? Ad un maggiore afflusso turistico? Ma ne siamo sicuri? E’ stato proprio così in questi lunghi decenni di imprenditorialismo illuminato?
L’esperienza abruzzese non è dissimile da altre sparse sul territorio nazionale. Il denominatore comune è uno solo: i soldi. Gli impianti vengono realizzati non tanto per una reale necessità, quanto per poter accedere a finanziamenti pubblici e privati; una volta iniziati i lavori i costi lievitano in modo “imprevisto”, spesso non si riesce nemmeno a terminare le opere, tanto chi doveva intascarsi il denaro lo ha già fatto, un’impresa fallita non è poi la fine del mondo. Brillante esempio è il progetto per la nuova funivia del Monte Bianco, che a fronte di una frequentazione diminuita negli ultimi quindici anni del 50% prevede il raddoppio delle portate attuali, senza considerare che l’alta quota alla quale arriva la funivia (oltre 3300 m) non può sopportare una tale pressione antropica.
Si può dire che oggi non esistano impianti di risalita con il bilancio in attivo. Ormai sono considerati alla stregua degli autobus urbani, un servizio in costante perdita di esercizio da mantenere in attività per scopi sociali. Ma quali scopi sociali ha una seggiovia? Non certo quello di offrire nuovi posti di lavoro, ormai i nuovi impianti riducono all’osso la presenza degli operatori. E allora? Si dice: “così la montagna è alla portata di tutti”, il ricco uguale al povero, l’atleta uguale al pantofolaio.
E’ questa l’uguaglianza? No, questa è la banalizzazione. La montagna è un ambiente particolare, ha proprie leggi e proprie regole che vanno conosciute e rispettate. Se volete vivere l’emozione di una maratona dovete allenarvi e poi correre: se percorrete i 42 km in automobile, è tutt’altra cosa. Portare gente in montagna va bene, ma se non sanno cos’è una montagna è come guardare una cartolina, solo un po’ più costoso. Chi dice che associazioni come la nostra propongono un turismo elitario è in malafede, quello che noi proponiamo non è un turismo rivolto a pochi eletti bensì un turismo intelligente e rispettoso, confidiamo che gli intelligenti e i rispettosi siano davvero tanti e che possiamo contribuire ad accrescerne ulteriormente il numero. Se i soldi anziché spenderli in impianti li spendessimo in centri visita del Parco, per esempio, forse avremmo turisti più consapevoli ed un ambiente meno maltrattato.
E’ difficile progettare il futuro, occorre visione prospettica e un certo distacco dai condizionamenti di carattere politico ed economico: chi progetta ed impianta un bosco non vedrà mai il frutto del proprio lavoro, ma chi verrà dopo di lui ne coglierà i frutti. Il Parco ha soprattutto una funzione sociale, è un bene della collettività, e come tale deve essere gestito per garantire alle prossime generazioni di poterne ancora usufruire. Enti parco, amministrazioni locali, comunità montane oggi più di ieri devono confrontarsi con l’universo ambientalista che ha da tempo abbandonato le posizioni del NO, per lanciarsi con competenza e attendibilità sul terreno della proposta e del dialogo. La montagna può produrre reddito, e per sopravvivere nella nostra società dei capitali deve farlo, ma il reddito deve essere diffuso; se a guadagnare sono sempre e solo i soliti noti, allora la nostra italietta potrà anche essere entrata in Europa, ma l’Europa ci guarderà sempre come il giullare di corte, come quelli che propongono le grandi opere ma poi non trovano i soldi per sbarcare il lunario nella vita quotidiana.
E allora perché no, attiviamo un grande ponte umanitario che attraversi il Gran Sasso ed unisca i diversi versanti, questa sì è una grande opera realizzabile; diamo forza alle nostre idee, diamogli visibilità, costruiamo un fronte congiunto per respingere l’assedio. Sarà un ponte con i colori dell’arcobaleno.
MW Italia, Fabio Valentini
valentini@mountainwilderness.it