Alpi Ribelli, Capitolo 5: la liaison
Di Enrico Camanni
In un mondo di granito e nevi perenni – scrivono Federica Busa e Cesare Bieller nella rievocazione storica della «Liaison» – il silenzio viene rotto non solo dal soffio del vento o dagli echi delle cornacchie, ma da voci che gridano la loro voglia di realizzare l’impossibile. Dino Lora Totino anima questi luoghi con la convinzione che il massiccio del Monte Bianco si presti naturalmente a collegare Italia e Francia. Bisogna aprire una nuova via tra «due nazioni sorelle».
La chiamano la Liaison, il collegamento, e in verità si tratta di un ripiego. L’ingegner Lora Totino avrebbe voluto bucare il Monte Bianco, ma i tempi non erano maturi per il traforo. Allora aveva deciso di passare sopra la montagna collegando le stazioni di Punta Helbronner e dell’Aiguille du Midi, volando da tremilaquattrocento a tremilaottocento metri di altezza. Se non si poteva essere talpe, tanto valeva diventare aquile.
Le due stazioni di arrivo esistevano già: una sul lato italiano, l’altra sul versante francese. Si trattava di unirle con una telecabina leggera, lungo un percorso quasi pianeggiante di cinque chilometri. Un volo d’uccello. Gli ingegneri avevano calcolato che servivano venti mila metri di funi di acciaio per sospendere le cabine sopra uno dei ghiacciai più vasti delle Alpi, che a valle confluisce nell’immensa Mer de Glace: il mare di ghiaccio.
Si vedevano le corde salire sulla montagna come serpenti – racconta un operaio –. Chilometri di acciaio che pesavano tonnellate e tonnellate. Eravamo una squadra di quindici uomini sul versante italiano. Tiravamo le funi giorno e notte. La mattina erano ricoperte da circa quaranta centimetri di neve fresca, che dovevamo spalare per poter ricominciare a tirare.
La traente è un’unica fune di diecimilacinquecento metri. Quando un capo arriva a Punta Helbronner l’altro capo è ancora a Chamonix. Sembrano operazioni da fantascienza: a dieci anni dalla fine della seconda guerra mondiale la scienza ha già superato la fantasia. Si possono imbrigliare le montagne e si può volarci sopra senza nemmeno toccare la neve. Si possono sfiorare i quattromila metri con il cappotto e le scarpe da città, perfino con i tacchi se si prevede una serata elegante. Mangiare alla valdostana in un ristorante di Courmayeur, volare sopra il Monte Bianco e cenare con una savoiarda a Chamonix.
Le difficoltà sono ardue, l’impresa appare titanica. Serve una fiducia cieca nel progresso, una fede illuminista nella progettazione. Nasce una complicità tra gli ingegneri italiani e francesi, che supera le diffidenze della politica e i rallentamenti della burocrazia. Lora Totino va avanti a testa bassa, spronando gli uomini come in battaglia. Il lavoro è una guerra bianca, con venti a cento chilometri orari e temperature a venti gradi sotto zero. Si lavora sempre, in estate e inverno, vestendo da alpinisti e vivendo da eremiti. Gli operai operano appesi ai cavi, li tendono e li fanno vivere. Sono i primi a volare sopra i crepacci, imitando i gracchi e gli aeroplani. Quando s’incontrano la Liaison è fatta.
Nell’inverno del 1957 l’ottava meraviglia del mondo apre senza clamori. Italiani e francesi brindano al progresso e si scambiano le felicitazioni per l’impresa portata a termine. Intanto le macchine pompano, le funi cigolano e le cabine cominciano a correre per la gioia dei passeggeri. Pare che tra i primi ospiti ci siano dei pellegrini valdostani diretti alla Madonna di Lourdes: adesso si fa più in fretta per il ghiacciaio. Più tardi passano Brigitte Bardot e Vittorio Gassman. Tutti vogliono provare la meraviglia delle meraviglie, riempirsi gli occhi di bianco prima di tornare in città. Nei giorni di bel tempo si fa la coda per prendere il biglietto e duemila passeggeri attoniti volano sulla Vallée Blanche contando i crepacci. Courmayeur e Chamonix condividono il successo e gli incassi.