Essere ambientalisti non è semplice né remunerativo: a volte è anche pericoloso
Dal Blog a cura di Mountain Wilderness su Il Fatto Quotidiano
Sempre più spesso ci ritroviamo nelle aule di tribunale per dirimere questioni ambientali che un tempo si potevano risolvere con il dialogo e il confronto, magari anche aspro ma aperto e partecipato. Affrontiamo cause legate al mancato rispetto di leggi e procedure, in particolare in relazione all’operato di amministrazioni pubbliche, che hanno come peccato originale la scarsa trasparenza e il mancato coinvolgimento della società civile nelle decisioni che ricadono sui territori.
E’ una lotta impari, perché le associazioni ambientaliste non detengono né il potere politico né quello economico ma solo la forza della determinazione e la convinzione di essere nel giusto, con l’obiettivo di tutelare i beni comuni e i diritti della natura e delle persone; veniamo incolpati di ostacolare il progresso quando in realtà ogni volta che un progetto viene fermato si scoprono irregolarità, insostenibilità economica, palesi violazioni del diritto ambientale, a volte persino una mancanza di buon senso che però non risulta perseguibile per legge.
Negli ultimi anni in tutto il mondo si stanno moltiplicando le cause legali per la crisi del clima, anche in Italia abbiamo avuto il primo caso lo scorso anno. Siamo consapevoli che la difesa dell’ambiente ha un costo, ma la continua e progressiva perdita di valore ambientale porta a costi ancora maggiori e in aumento esponenziale, che non appaiono in evidenza perché spalmati su vasta scala.
Tra i costi dell’associazionismo mettiamo dunque anche quelli delle spese legali, perché nonostante diversi professionisti si mettano a disposizione gratuitamente la vittoria non è mai garantita e associazioni come la nostra – che faticosamente cercano a titolo di volontariato, a proprie spese e impegnando il proprio tempo libero di tutelare l’ambiente e di difendere il territorio – se soccombenti sono condannate al pagamento delle spese. Non sempre legalità e giustizia coincidono.
Essere ambientalisti non è né semplice né remunerativo. E a volte può essere anche pericoloso, ne sanno qualcosa gli attivisti che hanno ricevuto minacce all’incolumità personale e danneggiamenti vari. Veniamo definiti “da salotto” con stupidi luoghi comuni da chi i salotti buoni li frequenta e denigra gli avversari sottraendosi al confronto delle idee, ma siamo presenti sui territori anche quando risultiamo invisibili a chi non riesce o non vuole ascoltarci perché infastidito dalle voci contrarie. Diventiamo “quelli che dicono no a tutto”, ma poi le nostre proposte cadono ripetutamente nel vuoto e nell’indifferenza dei decisori, mediaticamente fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce.
A proposito di media, anche il mondo dell’informazione fa la sua parte. Il cosiddetto “quarto potere”, che un tempo svolgeva una importante funzione di giornalismo d’inchiesta, oggi è ricco di opinionisti e portavoce di interessi privati, solo una minoranza esercita questa professione con un taglio etico e deontologico degno dei grandi maestri del passato. Un esempio per tutti: i resoconti sulle continue battaglie legali condotte per le Alpi Apuane in Toscana.
La modernizzazione ci ha poi regalato il “quinto potere”, quello di internet, con la sua diffusione di massa e le tante storture che comporta il suo utilizzo deregolamentato. Oggi, per chi legge in maniera acritica senza porsi domande, ciò che viene affermato in maniera circostanziata da uno studioso titolato e gli sproloqui di un qualsiasi utente del web hanno lo stesso valore; le persone, piuttosto che essere davvero informate, vogliono credere di esserlo e dai luoghi comuni si passa alle offese senza soluzione di continuità. E’ recente la sentenza (e torniamo in tribunale…) che ha visto un militante storico di Mountain Wilderness, Luigi Casanova, vedersi riconosciuto un indennizzo economico a fronte di una continua e reiterata diffamazione sul web contro il proprio impegno ambientalista; analogo procedimento vedrà protagonista nei prossimi mesi la nostra associazione coinvolta per i medesimi motivi.
Si è creato un clima di violenza verbale e di esasperazione al quale i mezzi di comunicazione, a partire dalle televisioni fino alla carta stampata e ai media web, non sono estranei, ma anzi hanno spesso colpevolmente alimentato. Dovevamo proprio arrivare a tanto? Vi invitiamo a leggere un altro scritto sul nostro sito internet dedicato a questo tema, Cassandra e Pandora. E a riparlarne insieme.