Non Private il Futuro della Bellezza
Di Oreste Rutigliano
L’autore, storico esponente di Italia Nostra, reagisce alla campagna che da mesi Chicco Testa conduce contro il Ministero dei beni culturali e le sovrintendenze chiamando anche in causa tre associazioni ambientaliste, strenue sostenitrici dello sviluppo incontrollato di eolico e fotovoltaico contro il diritto delle future generazioni di godere della natura e della bellezza degli spazi liberi da infrastrutture nel Belpaese.
Nei suoi ultimi interventi su Il Foglio, Chicco Testa si scaglia sempre più frequentemente contro “i veti delle soprintendenze”, denuncia che il programma energetico nazionale sarebbe fermo a causa di ciò e afferma che “ormai persino le Associazioni ambientaliste sono costrette a denunciare l’ostruzionismo senza costrutto dei funzionari delle soprintendenze”.
Se fosse vivo, oggi, contro tali affermazioni avrebbe tuonato Carlo Ripa di Meana. Siamo diventati amici girando per il mezzogiorno, con la sua amata mercedes verde, chiamati in soccorso da piccoli ammirevoli comitati, legati alle loro terre ed annichiliti dall’arrivo delle torri eoliche. Ripa, che scriveva spesso su Il Foglio, mi raccontava che Giuliano Ferrara lo guardava un po’ stupito, come se gli anni lo avessero condannato ad una delle tante fissazioni senili, ma al tempo stesso intendeva scorgere nelle sue parole le verità cui perviene chi, sempre per vecchiaia, riesca a vedere lontano.
Oggi, Il Foglio non dà a me la stessa possibilità di replica. Mi si permetta dunque di farlo dalle pagine dell’Astrolabio.
Ma quali “associazioni ambientaliste”? Testa intende quelle che Ripa chiamava i “periti tecnici dell’ambiente”, da Legambiente a Greenpeace, che a suo tempo avevano firmato con l’Anev, l’associazione di categoria delle aziende eoliche, un “protocollo” per la diffusione dell’eolico in Italia. Anche nei parchi nazionali! A questa aberrazione di pale, strade e Tir eccezionali nella natura incontaminata, saggiamente, il Wwf si sottrasse. Oggi però è con Legambiente e Greenpeace, a formare la Triplice del fronte inossidabile dei sostenitori di un sistema energetico fondato esclusivamente su pale eoliche e pannelli fotovoltaici.
Da allora, come ben rilevò il segretario della Lipu Danilo Selvaggi, l’ambientalismo ed il conservazionismo italiani sono spaccati in due. Chi sta con l’eolico, eletto a simbolo della salvezza planetaria, e chi, dall’altra parte, in nome del paesaggio italiano, dei grandi rapaci vittime designate delle lame rotanti e del buon senso, lo combatte da 18 anni a mani nude. Buon senso è capire quali siti e quali Paesi siano vocati a certe tecnologie e quali invece non lo sono affatto.
Il grande “affaire eolico”, come lo chiamava Ripa porta con sé grandi capitali, autorizzazioni da ottenere e da rivendere, gran concerto di burocrazie da attivare e, in Italia, paese restio ad ogni pianificazione, una incredibile corsa di “facilitatori” all’accaparramento dei luoghi più vantaggiosi, al punto che ben ci sta il richiamo a quella speciale categoria tutta italiana dei “palazzinari”, nel caso specifico: “palazzinari dell’energia”. Tanto per dire di una speculazione sulle rendite, passata dalle città e dalle coste alle cime di monti e colline.
L’Anev ha acquisito un peso crescente nelle decisioni sulle energie rinnovabili grazie ai superprofitti realizzati dai propri associati negli ultimi dieci anni di sovraincentivazione. Insieme alle associazioni alleate, dilaga in ogni forma di comunicazione. Sono e si sentono padroni del campo, così da mettere all’angolo ogni diversa opinione. Ed oggi, tanta sicumera si palesa con un attacco al Mibac ed alle sue Soprintendenze. Per togliere di torno il maggiore ostacolo ai sempre più grandi ed invasivi progetti futuri eolici e fotovoltaici in aree agricole.
Dichiarazioni che vanno soppesate anche da parte delle associazioni della Triplice a lui vicine, poiché rischiano di mischiarsi pericolosamente agli auspici delle forze più retrive e demagogiche, che accomunano petulanti costruttori che hanno ampiamente oltre misura dilagato nel paese ed eserciti di abusivi e di prepotenti “padroni a casa propria”, che quelle associazioni hanno meritoriamente combattuto.
Accade invece che gran parte delle associazioni per la difesa del territorio, del paesaggio e dell’ambiente (Italia Nostra, Lipu, Mountain Wilderness, Marevivo, Pro Natura, Amici della Terra, Ass. It. per la Wilderness etc.) viva con angoscia l’incremento indiscriminato delle rinnovabili elettriche intermittenti che prevede, da qui al 2030, di raddoppiare le pale eoliche e di occupare i terreni agricoli a colpi di centinaia di ettari, tutti insieme accorpati, con gli impianti fotovoltaici.
Queste associazioni pensano che la realizzazione del Piano nazionale integrato Energia e Clima non debba mai e poi mai scavalcare gli unici organi dello Stato rimasti a difendere il paesaggio, la cui tutela è inserita tra i principi fondamentali della Carta Costituzionale (art. 9).
Articolo mirabile, richiamato ed ammirato, ma sempre e sempre più insidiato, quanto più si deteriora la cultura politica e quanto più gli interessi collettivi, conquista giuridica formidabile del ‘900, si incamminano verso il declino. Simbolo di un paese che pencola verso una pericolosa involuzione.
In nessun caso può essere considerato ammissibile sacrificare i suoli coltivabili ai pannelli solari, né sfigurare le nostre montagne e i crinali con pale eoliche gigantesche. Un tempo alte 75 metri, poi passate a 150 ed ora a 250. In un paese che guarda da secoli con stupore la cupola michelangiolesca di S. Pietro, alta, oramai, solo 138 metri. E nonostante la presa ferrea sui media la resistenza a questa occupazione militare del territorio e dei paesaggi del fragile mezzogiorno cresce ogni giorno di più e vede comitati, amministratori, sindaci ed anche Regioni insieme, (vedasi il caso di Rimini). Nell’attesa di una pesante replica collettiva.
Negli anni queste stesse associazioni hanno studiato, hanno fatto proposte ben più adatte all’Italia ed alle sue capacità produttive e ai suoi interessi industriali, sottolineando la debolezza di queste soluzioni zoppicanti poiché afflitte dalla intermittenza, dal numero di ore limitate di produzione, dalla impossibilità di stoccaggio, da pericoli, se massive, di diabolici black out continentali. Suggerendo una molteplicità di approcci alternativi, meno invasivi, meno costosi ma ben più efficaci.
Già nel 2012 avevamo appreso da uno studio condotto da Assoelettrica, allora presieduta proprio da Testa, che l’impegno pubblico, già accumulato in incentivi alle rinnovabili elettriche, ammontava a 220 miliardi (più del Recovery Fund di cui si favoleggia oggi per la salvezza d’Italia!). Più del doppio di quanto l’Italia ha investito nella Cassa per il Mezzogiorno. Il Foglio stesso ha indagato sulle tasse occultate in bolletta per finanziare questi impianti, che rendono la nostra elettricità tra le più costose al mondo.
Per rispondere agli articoli di Testa potrei ribadire i princìpi della mia ossessiva proposta (anche io sono approdato alla vecchiaia) di “eccezione Italia per l’eolico”, da trasmettere all’Europa in nome del paesaggio e della cultura. Davvero si può devastare il Bel Paese, per sì piccola ed ininfluente frazione della produzione elettrica mondiale? Si faccia tutti, in piena coscienza e conoscenza, obiezione a questa scelta inutile e sciagurata. L’Europa e la salvezza del paesaggio italiano sono due facce di una stessa costruzione ideale e politica.
Le grandi torri eoliche, per la collocazione sui crinali, per l’altezza, per la composizione in serie, introducono nel territorio scenari angoscianti che irrompono nei luoghi della nostra vita e nei delicati contesti dei borghi da salvare dallo spopolamento. L’impatto si ripercuote per chilometri sull’aspetto generale dei luoghi di insediamento, facendo decadere le vocazioni turistiche vere ed autentiche e il valore economico ad esse legato. Distruggono il patrimonio paesaggistico più prezioso.
Per questi motivi riteniamo, da sempre, che l’eolico non possa, dopo i danni già inferti, avere ulteriore cittadinanza in Italia. Un paese dove borghi e paesi storici, architetture, monumenti e siti archeologici si contano a migliaia, l’uno in vista dell’altro, distribuiti lungo i versanti che compongono la dorsale appenninica e i gruppi montuosi delle grandi isole. Sicché ogni insediamento industriale di tali proporzioni andrà inevitabilmente a turbare qualsivoglia visuale.
E come potrebbero le soprintendenze tacere, se non tradendo il loro mandato, che il Paese loro assegna da un secolo e delle quali sempre più vi è necessità. E non può certo sfuggire che quanto più la politica si abbassa di livello, tanto più aumentano le intolleranze a questa indispensabile “magistratura del territorio”.
Tutti parliamo dei diritti delle future generazioni. Ebbene noi siamo convinti che esse abbiano dei diritti da preservare.
E siamo altresì convinti che le associazioni, citate da Testa, per essere quelle uniche e vere, stiano assestando alle vite future di figli e nipoti un colpo mortale, privandoli della bellezza e di quell’ultimo rifugio di spiritualità che sopravvive nei paesaggi storici delle aree interne. Dove ancora sono protagonisti il sole e le stelle, il giorno e la notte, i quadri visivi delineati dai profili dei monti e dalle cornici dei boschi. Siamo invece già oggi allo sfregio di centinaia di luci intermittenti che balenano rosse nella notte, negando gli orizzonti lontani e solitari, il silenzio, il manto buio delle terre alte ed arcaiche. Vien voglia di gridare maledette siano le pale che mutano il Dna stesso delle nostre terre, della nostra individualità poetica, entro la quale riconoscerci vivi e grati di vivere.
Oreste Rutigliano