Nuraghi e paesaggio fermano i signori del vento
Sentenza storica del Tar Sardegna: l’interesse archeologico e paesaggistico prevale su tutto. Lilliu ringrazierebbe. Di Mauro Pili. Copyright: Unione Sarda
Su “professori de is perdas beccias”, come amabilmente amava definirsi, non se lo sarebbe mai aspettato. Lui, primo sardo a salire sull’Olimpo dell’Accademia dei Lincei, lo ripeteva in lungo e in largo: i Nuraghi sono elemento imprescindibile del più vasto e indefinito paesaggio della Sardegna. Giovanni Lilliu, il Sardus Pater della civiltà nuragica, traguardava lontano. Quando le prime pietre della Reggia di Barumini, era il lontano 1951, affioravano, il suo sguardo non era rivolto a quei giganteschi massi che magistralmente, senza alcuna malta, 3500 anni prima, erano stati riposti uno sull’altro. Scrutava, invece, il proscenio, il paesaggio, leggeva il contesto in cui quella straordinaria scoperta veniva alla luce.
Sguardo del Sardus Pater
Su quella collina, nel cuore del granaio della Marmilla, il giovane archeologo percepiva qualcosa di più di un reperto di dimensioni ciclopiche. Idealizzava quella infinita distesa di terre segnata da migliaia di torri nuragiche, fortezze e presidi di una grande Civiltà, quella Nuragica. Non fu un caso che l’Unesco, insignendo “Su Nuraxi” di Barumini dell’effige di monumento universale, scrisse nelle motivazioni parole che ancor oggi assumono una valenza epocale. «Si tratta – è scritto nel documento che attesta il valore di patrimonio dell’umanità – di un capolavoro del genio creativo dell’uomo, una testimonianza unica ed eccezionale di una tradizione culturale e di una civiltà scomparsa, un esempio straordinario di una tipologia edilizia, un insieme architettonico di un paesaggio, che illustra un’importante fase nella storia universale dell’uomo».
Costituzione nuragica
Parole scolpite nella “Costituzione” identitaria dell’Isola dei Nuraghi. Ora quei concetti, quei tratti identitari del paesaggio, entrano a pieno titolo in una delle sentenze che, più di altre, riconoscono l’imponenza di quel segno indelebile nella storia antica di questa terra. Il Tar Sardegna, il Tribunale amministrativo regionale, ha appena pubblicato nel sito ufficiale una sentenza tanto forte quanto destinata a scolpire il futuro. Sessanta pagine, fitte fitte, per una decisione destinata a tracciare un solco profondo nel diritto, una vera e propria “carta nuragica” fondamentale per respingere l’eterno assalto eolico alla Sardegna. Una sentenza puntuale, un ricamo giuridico, che mette nero su bianco principi e valori, norme e interpretazioni su uno dei temi più controversi: lo sfruttamento indiscriminato dell’energia eolica. Un agguato a vette e crinali, paesaggi e colline. Tutto per mettere insieme una montagna di lauti incentivi energetici capaci di dilapidare una valanga di miliardi di euro. Nelle scorse settimane abbiamo documentato un attacco concentrico ad alcune delle aree più sensibili dell’Isola, luoghi presi di mira da multinazionali per nulla intenzionate a fermarsi davanti alla devastazione di ambiente e paesaggio. L’assalto al paesaggio sardo ha messo d’accordo multinazionali di mezza Europa, dai tedeschi agli spagnoli, dagli austriaci agli inglesi.
Prima legna, ora vento
Prima in Sardegna venivano a far legna, una volta per fare le ferrovie in Francia, un’altra per far soldi a beneficio dei Savoia. Da qualche anno a questa parte si viene a far soldi dal vento. In questa terra promessa si sbarca per guadagnare milioni a palate con devastanti grattacieli d’acciaio, alti anche 200 metri, protesi verso il cielo, con l’unico intento di far girare senza sosta il totalizzatore dei propri guadagni. La sentenza d’ottobre, però, butta giù il castello di soldi eolici che in molti pensavano di metter su con l’uscita dell’Isola dall’era del carbone. La sentenza 573/2020, appena pubblicata, della seconda sezione del Tribunale amministrativo, Presidente Francesco Scano, con i giudici Marco Lensi e Grazia Flaim, è un manuale del diritto universale per la tutela del paesaggio della Sardegna. L’oggetto del contendere è l’ennesimo parco eolico da realizzare tra nuraghi e basiliche, tra paesaggi mozzafiato e tombe di giganti. Il bersaglio prescelto è quello di Florinas, a un tiro di schioppo dalla Basilica di Saccargia. Il progetto lo presenta la multinazionale Edison Energie Speciali, una società per azioni che nel corso degli anni si trasforma in srl, la E2i. Il primo assalto è del 3 aprile del 2014. Obiettivo: ottenere una valutazione positiva del progetto che prevede di incastonare nel paesaggio prima nove e poi otto pale eoliche di 91,5 metri d’altezza al mozzo, più l’elica con ben 117 metri di diametro. La guerriglia dura sei anni. La multinazionale del vento non molla. Vuole a tutti i costi infilzare quelle montagne con i suoi aerogeneratori da 3,45 megawatt l’uno.
Assalto plurimo
In ballo, però, c’è molto di più. La posta è altissima con un assalto plurimo e indomito che, da nord a sud dell’Isola, rischia di travolgere e stravolgere per sempre il paesaggio. La Corte Costituzionale con una sentenza del 2012, la numero 224 dell’11 ottobre, aveva di fatto cancellato la disposizione regionale che indicava i cosiddetti siti idonei ad “ospitare” le pale eoliche. La Regione ci ritenta con la legge regionale n.8 del 2015. Questa volta il legislatore regionale individua i siti “potenzialmente” “non idonei” all’installazione dei parchi del vento. La delibera attuativa che segue non è altro che la sommatoria di tutti i vincoli già esistenti, da quelli archeologici a quelli ambientali, dalle tutele paesaggistiche ai limiti idrogeologici. Per i signori del vento il risultato è disarmante: resta disponibile solo 1,2% del territorio regionale. Dei 24.083 km quadrati della superficie dell’Isola ne resterebbero “liberi” 283. Troppo pochi, niente, secondo i moltiplicatori del vento. Lo scrivono senza pudore nel ricorso che depositano al Tar Sardegna dopo che ministero dei beni culturali e Arpas Sardegna gli hanno sonoramente bocciato la scalata al vento del nord. In quell’area, nell’agro di Florinas, ci sono oltre 70 monumenti archeologici, tra nuraghi e tombe dei giganti. Impossibile piazzare altre torri eoliche. La Giunta regionale il 19 settembre del 2019 deve trarre le conclusioni: progetto bocciato. La contesa si sposta in piazza del Carmine a Cagliari. Sei anni dopo il primo ricorso, Edison gioca tutte le sue carte. Gli va male. Anzi, malissimo, dovrà pagare anche le spese processuali. Vince la Regione, difesa da Mattia Pani e Andrea Secchi e il Ministero dei Beni Culturali. Grazia Flaim, il giudice estensore della sentenza, è pignola come non mai. In gioco non c’è un parco eolico nel piccolo comune di Florinas. Lo sanno le multinazionali, lo sanno i giudici. In discussione c’è il diritto sacrosanto alla tutela del paesaggio della Sardegna, il primato della salvaguardia di una civiltà nuragica unica al mondo.
Vincolato il 98,8%
Il quesito giudiziario è campale, sul merito e sulla competenza: può la Regione autonoma della Sardegna rendere “non idoneo” il 98,8% del suo territorio all’installazione di quei ciclopici mostri alti anche più di 200 metri? In una sentenza fattasi sacro testo i giudici smontano pezzo per pezzo le pretese della multinazionale. I settanta nuraghi e i segni tangibili della civiltà nuragica sono elemento cardine della sentenza. Prevalgono su tutto, scrivono i giudici. Non in quanto beni archeologici singoli e isolati, ma perché rappresentano un “unicum”, un paesaggio unitario non violabile definito “ad altissimo rischio archeologico”. In punta di diritto i magistrati astraggono la sentenza dal caso specifico per tracciare una linea di condotta destinata a segnare in modo indelebile la giurisprudenza amministrativa in Sardegna. Non c’è spazio per cavilli procedurali, la sentenza è un martello pneumatico su un concetto fondamentale: il vincolo archeologico diretto e di prossimità è imprescindibile. «L’insieme di queste valutazioni – concludono i giudici – inerenti il prevalente interesse “archeologico e paesaggistico” risultano, da sole, idonee a supportare il giudizio negativo sul parco eolico». Su “professori de is perdas beccias” sarebbe felice: 3500 anni dopo i Nuraghi proteggono ancora l’Isola del sole e del vento.
Mauro Pili