Professione documentarista

La storia del documentarismo raccontata in modo semplice, lineare e sistematico con un aggiornamento al 2020. I maggiori movimenti artistici e i protagonisti che hanno fatto la storia del cinema documentario dalle sue origini fino agli ultimi anni. Un prezioso contributo per “gli addetti ai lavori”, gli studiosi e per coloro che vogliono iniziare un viaggio nella scoperta di un cinema che racconta “la realtà”.

Carlo Alberto Pinelli

Carlo Alberto Pinelli

Laureato in Lettere e Storia dell’Arte dell’India e dell’Asia Centrale presso l’Università degli Studi La Sapienza di Roma. Ha preso parte in gioventù a campagne di scavo e a prospezioni archeologiche in Turchia, Afghanistan e Pakistan.

Regista documentarista particolarmente attento ai temi etno-antropologici, socio-culturali e di avventura, ha realizzato oltre centoventi documentari, filmati ovunque nel mondo. Nel 2014 è uscito nelle sale italiane e francesi il suo primo film di finzione: La Storia di Cino, il bambino che attraversò le montagne. Da molti anni insegna ”Cinematografia Documentaria” e “ Tecniche documentaristiche” presso la Facoltà di Formazione – Comunicazione dell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli.

Carlo Alberto Pinelli è uno dei padri fondatori di un alpinismo che ha fatto della tutela ambientale una ragione di vita. Accademico del CAAI, presidente per più mandati di Mountain Wilderness Italia, con cui negli anni ha intrapreso progetti di tutela ambientale di grande respiro dal Monte Bianco all’Himalaya ricevendo importanti onorificenze. E’il responsabile delle attività asiatiche ( Asian Desk) di MW International, è presidente onorario di MW International e garante internazionale di MW:

La recensione del libro di Ivelise Perniola

Il libro di Carlo Alberto Pinelli è un libro importante e utile, l’ordine degli aggettivi è assolutamente interscambiabile. Perché è importante? in primo luogo perché si tratta di uno dei pochissimi testi editi in lingua italiana in cui si affronti, secondo una prospettiva divulgativa e non accademica, la problematica della storiografia del documentario mondiale; campo complesso e scivoloso, impresa pressoché irraggiungibile visto il territorio impervio e lacunoso in cui ci si muove.

Il cinema a soggetto si presta maggiormente ad una periodizzazione storica e la difficoltà dell’impresa risiede in quel caso solo nella complessità di costruire una storia globale, che possa rendere conto anche di cinematografie marginali e lontane dalla prospettiva occidentale dalla quale sono permeate in genere tutte le storie che raccontiamo e che ci raccontiamo. Affrontare la storia del cinema documentario presenta invece problematiche più vaste e poco districabili: in primo luogo, la definizione: il documentario raccoglie materiali eterogenei che confinano pericolosamente con l’apertamente sperimentale da un lato e con la ricostruzione classica dall’altro. Un campo quindi poco definibile e poco definito che neanche il termine anglofono di nonfiction contribuisce a dipanare. Quindi la prima difficoltà che incontra lo storico è quella della delimitazione del campo di studi e di ricerca: cosa includere e cosa escludere e perché? In secondo luogo, il cinema documentario, o cinema del reale, come preferiscono definirlo i francesi, si apre, da un certo periodo in poi della sua storia, ad una variegata ed esponenziale produzione non professionistica, favorita dal basso costo delle produzioni, dall’introduzione di mezzi di ripresa leggeri che permettono a chiunque di realizzare film documentari con un investimento economico minimo e in nulla paragonabile al film a soggetto. Inoltre, le possibilità di autodistribuzione sostenute dalla rete rendono il prodotto documentario più libero dal punto di vista produttivo, ma anche più difficile da intercettare, a causa dell’enorme offerta prodottasi dagli anni Ottanta in poi. Quindi lo studioso che voglia intraprendere la difficile impresa di dar forma ad una storia del documentario viene immediatamente scoraggiato dai fattori sopra elencati e solitamente nel giro di poche ore può essere già spinto a desistere da un progetto così titanico.
Non è stato ovviamente il caso di Carlo Alberto Pinelli, il quale, pur tra molte reticenze, premesse, cautele, si avventura poi con coraggio nei meandri della storiografia documentaria, uscendo, diremmo, vittorioso dalla sfida di offrire al lettore una panoramica agile e comprensibile dei principali movimenti e dei più rilevanti autori che hanno popolato questo genere. Certamente l’impresa risulta più facile per la prima periodizzazione del cinema del reale, partendo dai due grandi Vertov e Flaherty, numi tutelari di due modi diversi e antagonisti di approcciarsi al profilmico; il primo conferendo il primato al montaggio e il secondo conferendo il primato alle riprese. Al punto che sarebbe possibile costruire una storia del cinema documentario immaginando una tabella con i nomi dei due cineasti e inserendo ogni personalità successiva ora sotto una ora sotto l’altra voce (Wiseman sotto Flaherty e Marker sotto Vertov ad esempio).


Dziga Vertov

La seconda parte, come anticipavamo, si rivela più complessa e forse in questo Pinelli si mostra eccessivamente cauto e prudente, anticipando al lettore i suoi dubbi e le sue perplessità, che forse andrebbero affermate con più sicurezza e meno incertezze metodologiche. Tuttavia, Pinelli costruisce una narrazione storica sostenuta e motivata anche nella seconda parte del libro, permettendo al lettore di farsi un’idea di cosa accade nel cinema documentario anche quando l’introduzione dei mezzi di ripresa leggeri rende babelica la produzione mondiale. Pinelli allora procede per interessi personali, per tematiche, per cinematografie nazionali, per generi, muovendosi con agio in un panorama che avrebbe confuso chiunque altro. Inoltre, il libro ha il merito, e non è cosa da poco, di incuriosire il lettore e di spingerlo ad approfondire cineasti che non conosceva o che conosceva solo superficialmente, agendo quindi come un prezioso induttore di conoscenza e di competenza; anzi proprio la struttura dei capitoli, la loro organizzazione interna crea nel lettore una curiosità che rimane strategicamente inevasa e quindi foriera di ulteriori scoperte intellettuali. Scoperte che Pinelli favorisce e incrementa pagina dopo pagina. Il libro è anche utile, come abbiamo evidenziato in apertura, dal momento che viene scritto non da uno storico, da un teorico o da un accademico, ma da un cineasta impegnato sul campo della produzione documentaria da oltre quaranta anni. La professionalità di Pinelli, il suo alto profilo, si intuiscono dalla ricorrenza, tra un capitolo e l’altro, di una sezione titolata sibillinamente, La bottega del documentarista; in queste pagine l’autore inserisce alcuni importanti consigli pratici per gli aspiranti documentaristi: posizionamento della macchina da presa o telecamere, luci e obiettivi, gestione del pro-filmico, sonoro e montaggio, mostrando come il mestiere del documentarista preveda una serie di regole grammaticali dalle quali non si può prescindere nel momento in cui si voglia offrire allo spettatore un prodotto dignitoso e non un’opera raffazzonata e dilettantesca, come molto spesso accade quando si realizzano documentari con la falsa idea che più è brutto e ipomediale più è vero e aderente alla realtà. Pinelli nel suo testo smonta questa falsa illusione, sottolineando più volte la necessità della professionalità e della buona fattura nella realizzazione di un prodotto documentario e anzi non mancando, più volte all’interno del testo, di rimproverare lo stile sciatto degli eredi del cinéma vérité, stregati dal mezzo leggero e incapaci di (o non interessati a) manovrarlo con un minimo di competenza. La professionalità nella direzione di documentari viene a Pinelli anche dalla sua pluri-decennale pratica nel campo del documentario scientifico, di esplorazione, naturalistico, antropologico e di viaggio, nel quale eccelle come nome di punta della produzione non solo italiana ma anche internazionale. I suoi lavori spaziano dalle tematiche scientifiche (Dermosfera, interessante lavoro con punte, potremmo dire, da cinema sperimentale), a tematiche storicheavventurose come Sulle tracce del Milione. Marco Polo in Afghanistan; a originali incursioni nelle tradizioni popolari (Le Indie di quaggiù – Un viaggio oltre il folklore) e nell’ecologia (Pianeta d’Acqua); oppure ricordiamo le sue co-regie con Folco Quilici come la famosa serie televisiva L’Alba dell’Uomo o il film Il dio sotto la pelle, prodotto addirittura dalla MGM. Molto spazio viene dedicato alla ricostruzione narrativa, di carattere simbolico, come in Ouroboros – Il cerchio della Vita, che affronta il tema dell’invecchiamento umano, laddove, nella parte iniziale, Pinelli costruisce un’affabulazione più autentica, nei suoi discorsi, di qualsiasi ripresa dal vero.

Folco Quilici

In Siddiqa e le altre (come nel precedente Il Cavallo di Lapislazzuli) Pinelli ci introduce con un ottimismo forse esagerato nel territorio afghano solitamente raccontato come paese di guerra, ma in realtà luogo di tesori nascosti, di ambienti inesplorati e di volti segreti splendidamente incarnati dalla bellezza delle protagoniste, ragazze coraggiose la cui storia ci viene raccontata nel film, come parte ed espressione del tutto. Giovani donne che riescono attraverso il progetto del film a uscire dalla dimensione limitante che la cultura e la storia di cui fanno parte vorrebbe imporre loro per trovare nell’esplorazione del territorio, nel contatto con la splendida natura e nella pratica dell’alpinismo una nuova dimensione esistenziale. Accanto a Siddiqa e alle sue compagne, Pinelli ci racconta altre storie, altre vite del territorio afghano, non perdendo mai di vista il fine didattico del documentario, implicito nella radice del suo stesso nome e senza mai dimenticare il valore estetico che l’immagine cinematografica deve portare con se, la fotogenia, di cui ci parlava anche Delluc. Pinelli ha lavorato poi per vari anni per la trasmissione Geo&Geo, realizzando moltissime esperienze di viaggio, soprattutto nei paesi che il suo passato di archeologo l’hanno portato a conoscere meglio, come l’India e il Pakistan; nazione dalla quale nel 2016 riceve la massima onorificenza. Non bisogna poi dimenticare il debutto nel cinema a soggetto nel 2013, con la favola triste La storia di Cino, ambientata magnificamente in luoghi che Pinelli conosce bene e che appartengono al fatato ambiente naturale della sua infanzia. Debutto sorretto da un solido mestiere che si percepisce in scelte narrative e fotografiche di sicuro effetto. Un film europeo, La storia di Cino, che in Italia non è stato accolto come avrebbe meritato, forse proprio in virtù dei pregi che lo caratterizzano. La filmografia di Pinelli è tuttavia troppo vasta per poter essere tutta presa in considerazione in queste brevi note, ma sicuramente è una filmografia che meriterebbe uno studio approfondito e che potrebbe riservare interessanti sorprese. Il background di Pinelli lo spinge anche, nel volume in oggetto, a prendere in considerazione autori collegati con i film di viaggio e scientifici, solitamente negletti dalle storie di cinema documentario, soprattutto in Italia, dove il documentario o è di carattere sociale e militante o non è. Pinelli ha pagato questa marginalità dal mondo accademico e dalle nuove professionalità del cinema del reale, scontando un po’ la scelta delle tematiche e dello stile sempre molto pulito e onesto che contraddistinguono le sue opere. Ma il grande merito di questo vero professionista del cinema documentario è stato quello di perseverare con serietà nelle sue scelte, con un atteggiamento appartato, quasi aristocratico, nell’accezione più corretta del termine; e mostrando fino in fondo questo rigore anche nelle opere cartacee di divulgazione scientifica da lui intraprese, di cui il presente volume è un esemplare di rara onestà. Volume dunque assolutamente imprescindibile per la scoperta di un mondo (ancora troppo poco studiato) e, di riflesso, di un autore dai connotati insoliti. Infine, ultimo aspetto, ma non certo secondario, il libro di Pinelli ha il grande merito di sollevare domande e curiosità, che rimangono aperte, gettando le basi per studi futuri e nuove conoscenze.

Ivelise Perniola