Translagorai. Si viola l’anima pura del Trentino
Perchè questa mobilitazione per il Lagorai? Di Luigi Casanova
E’ doveroso chiedersi perché una proposta definita sostenibile di antropizzazione comunque leggera del Lagorai abbia suscitato una così diffusa reazione e tanta animosità. Eppure il Trentino dall’epoca Dellai in poi specialmente, ha visto abbattersi sul territorio speculazioni ben più imponenti, pensiamo all’area di Campiglio, a Folgaria, alla valle di Fassa. Ognuna di queste iniziative ha suscitato dibattito, ma le proporzioni degli attacchi al territorio vantavano ben altre dimensioni e ricadute nel tempo. Ma non è mai accaduto quanto sta accadendo riguardo la Translagorai. 18.000 adesioni al gruppo facebook “Giù le mani dal Lagorai”, lettere ai quotidiani (alcuni hanno scelto di non pubblicare), storiche personalità della SAT che dissentono dalla loro associazione, sottosezioni che in Fiemme rischiano di dividersi. Solo ai tempi di Val Jumela, vent’anni fa, si era vista una simile mobilitazione. Ma la posta in gioco allora, come si è visto con il trascorrere degli anni, era di ben altra sostanza e impatto. Penso vi sia una sola risposta. Il Lagorai era e è percepito dalla collettività escursionistica e alpinistica come ultimo spazio di vera naturalità del Trentino, al di là della sua definizione di parco naturale o di zona di Conservazione speciale. Il Lagorai è luogo di autenticità, nel percorrerlo vi si trovano valori e emozioni ormai impossibili da rintracciare altrove. Nel Lagorai è possibile sentire ancora l’anima profonda della natura selvaggia, è possibile perdersi in tanti modi. Questo si ricava dalle centinaia di commenti che giornalmente arricchiscono la pagina facebook. Il Lagorai è il Trentino perduto, un piccolo ritaglio di natura ancora leggibile. Solo entrando in questa proposta di analisi si comprendono tante adesioni alla contarietà del progetto Translagorai.
E questo è il terreno sul quale SAT purtroppo rifiuta il confronto: la più importante sezione del Club Alpino italiano si è isolata dal sentire comune, è divenuta autoreferenziale e come si è assistito anche dalle ultime interviste rilasciate dalla presidente Anna Facchini, SAT si è cacciata in un vicolo che sembra non lasciarle una via d’uscita onorevole.
Chi conosce SAT sa che le cose non stanno in questi termini. Ha ben presente che le persone che hanno firmato la base dei documento che ha portato la Provincia a sostenere il progetto erano e sono in totale buona fede. Si tratta di persone che da 30 anni offrono al volontariato alpino ogni sorta di energia, offrono passione, competenze. Persone, dal presidente uscente alla attuale dirigente sulle quali non possono ricadere dubbi nella loro piena onestà anche e specialmente intellettuale. Sono le persone che hanno costruito, anche nel profilo nazionale, la credibilità della TAM (Commissione per la tutela dell’ambiente montano), della rete dei sentieri, dei percorsi formativi, dell’alpinismo giovanile. Chi conosce SAT nel profondo sa che il tema del recupero delle malghe e degli alpeggi è da decenni un tema strategico della associazione. Come è potuto accadere che un gruppo tanto strutturato e credibile sia caduto nel tranello dell’assessore Mauro Gilmozzi e del Servizio Conservazione? SAT dovrebbe riflettere su quanto accaduto nell’ultima riunione della Cabina di Regia delle aree protette (il suo rappresentante era assente) quando, a termine legislatura, l’assessore all’ambiente uscente Mauro Gilmozzi ha ringraziato genericamente i mebri della Cabina per i contributi portati ai confronti, ma si è soffermato solo su SAT, con un elogio sperticato, nel dire come questo sodalizio, e solo questo, abbia dimostrato come ci si confronta con le istituzioni, come si collabora, come si costruisce. L’assessore non poteva trovare modo migliore per offendere, quanti, in modo particolare i rappresentanti delle associazioni ambientaliste, per anni hanno collaborato, hanno offerto contributi, proposte, idee anche di profilo internazionale. Certo, questo associazionismo libero nei cinque anni trascorsi è stato anche fortemente critico, questo associazionismo non ha mai chinato il capo davanti ai funzionari o all’assessore. Comportamenti questi che Mauro Gilmozzi, in tante occasioni, ha ben dimostrato di non saper accettare: o ci si rivolge a lui a capo chino o ci si schiera fra i suoi nemici.
In definitiva SAT non ha compreso cosa si gioca attorno al Lagorai. Alcune malghe andavano recuperate, ma non si capisce perché, situazioni in abbandono da decenni, debbano essere trasformate in ristoranti o alberghetti. Non si capisce il diniego ideologico della associazione a ristrutturare piccoli bivacchi in quota e invece portare l’ente pubblico a spendere centinaia di migliaia di euro a mezza costa. Non si capisce perché Translagorai per oltre un anno di dibattito sia stata fatta passare come un banale recupero di un lungo tragitto per poi scoprire solo a luglio 2018, a cose decise nell’ufficio conservazione e aree protette, in cosa realmente consistesse. Non si comprende come un simile progetto, inserito in un’area protetta, Zona di Conservazione Speciale dell’Unione Europea, abbia potuto attingere per 3 milioni e 600 mila euro al Fondo per la promozione e lo sviluppo sostenibile per la lotta ai cambiamenti climatici. Non si comprende come SAT abbia potuto sostenere un simile progetto in assenza di una minima valutazione sulla sostenibilità economica dell’insieme e dei singoli progetti, perché si siano trascurati edifici ricettivi già presenti, perché tutto sia stato deciso senza un confronto pubblico attraverso una Valutazione d’incidenza che tali opere portavano nell’area protetta di Rete Natura 2000.
O meglio, si comprendono tante cose se ci si confronta su come la Società sciistica Alpe del Cermis cerchi di valorizzare l’ambiente circostante l’area sciabile, vie ferrate, sentieristica, apertura di spazi a biciclette, il nuovo bar – rifugio presso Passo Bombasel (verso malga Lagorai, casualmente parlando).
Come ingenuamente hanno ben sostenuto i regolani della Magnifica Comunità di Fiemme (ente interessato alla ristrutturazione di ben tre malghe sulle sei previste), -“certi interventi senza l’aiuto della Provincia non potevamo farli, erano per noi insostenibili”-. Un aiuto fondamentale quello della Provincia, copre l’80% di tutte le spese. Trasformare una malga in ristorante e dotarla di 20 posti letto, di servizi igienici, di pannelli solari e fotovoltaici, significa anche potenziarne gli acquedotti, incidere i suoli con le condotte fognarie verso valle, portare le ruspe in quota, potenziare le strade di penetrazione, fare parcheggi nei boschi o nei pascoli. Laddove, come nel caso di Malga Lagorai, la strada di accesso è una mulattiera di guerra, significa dover trasformarla in viabilità sicura, cioè demolire in patrimonio storico e aprire l’area al traffico motorizzato. Se questo non accade, né a Malga Miesnotta, né a Malga Valsolero e nelle altre località interessate agli interventi, significa portare queste strutture al fallimento economico.
Quanti protestano non protestano invano. Vivono una totale sfiducia verso i politici trentini e nei confronti dei servizi che dovrebbero essere preposti alla tutela dell’ambiente. Dall’epoca Dellai in poi gran parte della viabilità forestale è stata aperta all’uso indiscriminato dei residenti, altra viabilità è stata riservata solo ai cacciatori (strade di arroccamento), la Magnifica ha aperto tutte le strade di tipo B ai residenti (un potenziale di oltre 20.000 persone). Ma pensiamo cosa è accaduto in riserve integrali di un Parco parlando solo di Paneveggio. Si è autorizzato lo scempio del Cristo Pensante per una speculazione religiosa privatistica a Cima Castellazzo, luogo fino a quel momento intonso e poi il parco ha dovuto spendere risorse economiche e umane per ridefinire e potenziare la sentieristica.
Da un afflusso di 100 persone all’anno che salivano la cima si è arrivati a 50.000. E peggio ancora, sempre in riserva integrale, si stravolge il vecchio sentiero che conduce al rifugio laghi di Colbricon, lo si trasforma in strada, violando cirmoli secolari, distruggendo il vecchio lastricato in porfido, solo per potenziare l’accessibilità al rifugio. Un ambiente, una storia distrutta nel cuore di un parco naturale. Sono questi esempi più che sufficienti che ci portano a comprendere cosa accadrà in pochi anni, già durante i lavori di recupero e potenziamento, nei dintorni delle 6 malghe dove è stato prevista la ristorazione, nel recupero del rifugio Cauriol. Il movimento di opposizione alla “Translagorai” come imposta dalla Provincia, SAT e enti locali non è assolutamente contrario al recupero degli stabili destinati a migliorare le condizioni di lavoro dei pastori, dei malghesi e allevatori. E’ un movimento che chiede che il Lagorai rimanga luogo da percorrere senza pesanti infrastrutturazioni, libero da protesi di cemento. La vera e storica Translagorai avrebbe bisogno di minimi ritocchi in termini di sicurezza, del recupero dei bivacchi in quota. Costringere i frequentatori a scendere più volte di livello per poi risalire è un non senso, si aprono le porte ai tanti luna park impostici dagli impiantisti. Non è con simili operazioni che si fa rivivere la montagna: come in più occasioni ribadito negli interventi su facebook e in tante lettere ai giornali l’operazione apre all’omologazione del Lagorai con le altre montagne trentine, definisce la sconfitta culturale della stessa idea e dei valori della montagna. Sembra proprio che nella concezione degli operatori turistici della nostra montagna non debba rimanere un solo spazio dedicato a chi ancora ricerca wilderness e libertà, agli amanti dei silenzi. Tutto deve essere ricondotto al dominio dell’uomo. Un Lagorai libero da infrastrutture, un Lagorai ancora fragile nella viabilità e negli accessi, sicuramente infastidiva l’assessore uscente e la Magnifica Comunità di Fiemme.
Luigi Casanova