Facciamo la pace con le montagne!

Come è andata
Le manifestazioni sui monti di tutta Italia

GREENPEAKS AL MONVISO

Il minuscolo paese di Oncino, aggrappato alla montagna ed immerso nei boschi della valle del Lenta, primo affluente del Po, rivive d’estate insieme alla transumanza che popola i pascoli d’alta quota con le bianche vacche di razza piemontese che punteggiano i prati verdissimi e ricchi di fiori. L’inverno qui è silenzioso e solitario, la neve copre le “meire” abbandonate e l’imponente triangolo del Viso domina sui pochi, coraggiosi abitanti del piccolo borgo.
Questa valle finora ha saputo difendersi dall’aggressione del turismo consumistico e dallo sfruttamento delle sue acque, mantenendo intatta la wilderness di questo versante della vetta simbolo del Piemonte e di tutti gli alpinisti. Da qui è iniziata la nostra salita verso le pendici del “Re di Pietra”: due ore di sentiero costeggiando il torrente, tra gigli e rododendri, fino al rifugio Alpetto, il più antico rifugio del CAI, situato di fianco alla costruzione originaria ora trasformata in museo.

Domenica primo luglio è ancora buio quando i cinque alpinisti che affronteranno la vetta si incamminano verso il Passo delle Sagnette. Il tempo peggiora, vento e grandine rallentano la marcia e il nostro Presidente, giunto a 500 metri dalla cima, suggerisce ai compagni di rientrare. Due di loro continuano a salire, Piero raggiungerà la vetta ma rientrerà solo a pomeriggio inoltrato dopo ore di preoccupazione per tutti noi.
Tra nebbie e schiarite scendiamo nei pascoli a quota 1700 m per l’incontro con gli amici della LIPU accompagnati dagli oncinesi, in testa gli alpini e la “Stella Alpina”. Alle 16, cinquanta persone col fiato sospeso osservano commosse la giovane poiana prendere il volo verso la cascata del Rio Alpetto ed ascoltano attente l’appello a fare pace con le montagne. L’incontro è diventato una festa, un alpino suona l’armonica, la gente allegra partecipa divertita all’estrazione del premio offerto da Greenvision.
Il Sindaco di Oncino ci attende in paese per ringraziarci, offrendo delizie cucinate dalla consigliera Mariagrazia, che tra mille difficoltà ha deciso di tornare a vivere quassù con i suoi animali. La nostra presenza in questa valle esprime il desiderio di mantenere intatti questi luoghi, ed insieme agli oncinesi lanciamo un messaggio di speranza affinchè la valle del Lenta diventi esempio positivo di conservazione dell’ambiente in alta montagna.

SCHEDA MONVISO

Il Viso, detto anche “Re di Pietra”, alto 3841 m, è la cima più alta delle Alpi Cozie; è stata descritta da Virgilio, Dante, Petrarca, Leonardo. La sua fama nel XIV secolo raggiunge l’Inghilterra e Chaucer la canta nei Racconti di Canterbury. La vetta fu raggiunta il 30 agosto 1861 da due alpinisti inglesi, Mathews e Jacomb. Montagna isolata, ben visibile dalla pianura e dalla città di Torino, è facilmente riconoscibile per la sua inconfondibile forma piramidale. Ai suoi piedi si trovano le sorgenti del fiume Po, il corso d’acqua più lungo d’Italia.
Il Monviso rappresenta un simbolo in cui si riconoscono tutti gli alpinisti italiani: non è soltanto la più nota vetta del Piemonte, ma è anche una montagna che ha saputo difendersi dall’aggressione del turismo consumistico, mantenendo intatti il suo significato ed il suo messaggio. Ricordiamo che la vergognosa proposta di illuminare a giorno il Monviso in occasione delle Olimpiadi invernali di Torino 2006 venne respinta con sdegno dalle stesse comunità locali, appoggiate dall’intero mondo della cultura e dell’alpinismo.

RESOCONTO DELL’ESCURSIONE AL MONTE CORRASI

Domenica 1 luglio sotto un sole accecante e con temperature percepite di oltre quaranta gradi, un gruppo di ambientalisti penetra a piedi il territorio del Supramonte di Oliena, diretto al Monte Corrasi.
Lo scopo dell’impresa è quello di portare all’attenzione delle istituzioni fino al più alto grado, dei mass media e del grande pubblico la necessità inderogabile della conservazione e tutela dei rilievi anche sardi, assediati dall’illogico e dannoso proliferare di vie ferrate e percorsi attrezzati, nel contesto della manifestazione Greenpeaks promossa in difesa degli ambienti incontaminati di quota dove l’uomo civilizzato può ancora sperimentare un incontro diretto con i grandi spazi e viverne in libertà la solitudine, i silenzi, i ritmi, le dimensioni, le leggi naturali, i pericoli.
I partecipanti risalgono la strada sterrata che dal rifugio sul Monte Maccione ferisce tortuosa l’abbagliante costone calcareo di Punta Carabidda fino a Scala e’ Pradu, una delle porte del Supramonte. L’incontro inaspettato con un anziano artigiano giocattolaio ed una schiva donna in severo abito tradizionale accanto ad un ovile di pietra, ci rammenta che la montagna e il territorio circostante sono portatori anche dei fondanti valori identitari e culturali di coloro che per millenni li hanno frequentati per abitarli e trarne sostentamento.

Man mano che si sale, il caldo e la rifrazione aumentano e l’ambiente si fa arido e brullo. Sulla cima il vento strappa via i copricapi e scompiglia i capelli. Una pausa per riprendere fiato, si beve e si mangia per riacquistare energia e… si guarda. A nord est si stagliano abbaglianti i picchi calcarei di Sos Nidos e Punta Cusidore che a tutta prima sembrano innevati, se non fosse che è estate; più lontano, Dorgali e il mare con la curvilinea striscia di sabbia rosata che incornicia il Golfo di Orosei e i rilievi del Supramonte, la netta e profonda fenditura della Gola de Gorropu e a sud ovest i Monti del Gennargentu. In direzione nord-ovest Oliena e Nuoro giacciono definite e incuranti nel riposo domenicale.
La stanchezza scompare e l’eccitazione si trasforma in voglia di ridere e scherzare. Sull’orlo del baratro si spiegano senza timore bandiere e striscioni come se fossero ali; si scattano le foto di rito. Qualcuno legge a gran voce l’appello al Presidente della Repubblica affinché si adoperi per proteggere le nostre montagne e i valori storici ambientali e culturali di cui esse sono portatrici perché si possa goderne ancora e ancora…
Testo: Elsa Melis; foto:Marco Cara

SCHEDA MONTE CORRASI

Denominato di frequente “le dolomiti sarde” per via della colorazione che le rocce assumono in particolare al tramonto, il massiccio del Monte Corrasi (1464 m) è la vetta più alta del Supramonte, il cuore carsico della Sardegna.
E’ stato incluso fin dal 1971 dalla Società Botanica Italiana nel censimento dei biotopi meritevoli di conservazione e ritenuto un vero e proprio paradiso botanico caratterizzato da numerosi endemismi e da circa 650 specie.
Tuttavia, nonostante il protocollo d’intesa firmato da anni tra il Centro Nazionale Biodiversità Forestale, l’Ente foreste e il dipartimento di Scienze botaniche dell’Università di Cagliari, poco o nulla è stato fatto da parte delle autorità preposte per far rispettare l’ordinanza con cui si vietava la raccolta di ben 28 specie vegetali a rischio. Si è dunque reso necessario invocare a gran voce la protezione del massiccio, della sua biodiversità e del grande patrimonio ambientale e paesaggistico che esso custodisce.

VETTA D’ITALIA – GLOCKENKARKOPF

Il Glockenkarkopf in Alto Adige, ribattezzato Vetta d’Italia, con evidente sprezzo dei sentimenti, delle tradizioni, della lingua della popolazioni locali. Per questa montagna chiediamo che ufficialmente il nome imposto dal fascismo venga sostituito su tutte le carte geografiche con quello di Vetta d’Europa-Europaspitze indicatoci da Alexander Langer, il testimone più lungimirante, più attivo, più profondo della cultura della pace nelle Alpi.
Vetta d’Europa perché ponte di convivenza. Vetta d’Europa perché ponte di confronto fra culture e lingue diverse. Vetta d’Europa per richiamare la complessità dell’ecoregione alpina. Vetta d’Europa per investire anche a livello locale, Province, Land, Comuni, nei contenuti, nelle linee guida proposte dai protocolli della Convenzione delle Alpi.
Nella nostra salita alla “Vetta d’Europa” abbiamo voluto ricordare questo grande e minuto uomo che ha saputo, tramite l’impegno, con la coerenza dell’esempio, trasmetterci i valori più profondi della convivenza; ci aveva indicato, già allora, la via maestra per rifondare la politica, per portare la politica accanto alle persone, per costruire politica che risolva i problemi delle persone. Temi anche oggi drammaticamente attuali.

Siamo saliti in 11 persone fino alla Vetta d’Europa-Europaspitze. Lì abbiamo letto la lettera scritta al Presidente Giorgio Napolitano, e la risposta: “avrà attenta cura nel raccogliere e attivarsi sulle nostre osservazioni riguardo le montagne italiane”…
Abbiamo poi lasciato nella cassetta del libro di vetta la Pergamena con la richiesta del cambio del nome e le indicazioni sintetiche sulla azione complessiva di MW su otto montagne in contemporanea in tutta Italia, dalla Sardegna all’Alto Adige – Sudtirol; analoga pergamena è stata lasciata al rifugio Brigata Tridentina. Siamo stati accolti con grande entusiasmo dai tanti escursionisti altoatesini che hanno appoggiato, tutti, la nostra azione.

SCHEDA GLOCKENKARKOPF

Il Glockenkarkopf è una montagna alta 2912 metri in fondo alla Valle Aurina. Il nome Vetta d’Italia fu creato ex novo da Ettore Tolomei nel 1904 per designare, in prospettiva di un’annessione auspicata del Tirolo Meridionale all’Italia, il punto più settentrionale dell’Italia geografica. Per questa vetta chiediamo un nuovo nome, un messaggio di serena convivenza e pacificazione ad alto contenuto simbolico ed esemplare.
Questo il testo della pergamena lasciata sul libro di vetta:

IN VETTA AL MONTE CAVALLO

Il Monte Cavallo è una grande montagna delle Prealpi bellunesi che si trova alle spalle del Pordenonese, e si erge sulla pianura sottostante in modo solenne, per uno sviluppo che supera i 2000 metri: questo lo rende ben visibile sia da Venezia che dalla costa Adriatica nelle giornate limpide. E’ un massiccio articolato, composto di varie cime tra le quali si interpongono creste e forcelle; la vetta principale si chiama Cima Manera (2251 m).
Le grandi bastionate rocciose racchiudono e, insieme alla pianura, delimitano una delle più importanti foreste pubbliche nazionali, quella del Cansiglio (divisa tra Veneto e Friuli), che costituì per secoli una delle più importanti riserve di legname specifica per il faggio, utilizzato per fabbricare i remi delle galee sia commerciali che militari per la Repubblica di Venezia.
Le galee che trasportarono per secoli merci nel Mediterraneo e combatterono la lunga e disastrosa Guerra di Candia dal 1645 al 1669, o le grandi galeazze che svolsero un ruolo fondamentale nella battaglia di Lepanto del 1571, avevano remi fatti con i faggi del Cansiglio, “Bosco da Reme della Serenissima”. Così quest’area così carica di storia e per questo attentamente tutelata nel corso dei secoli, è giunta a noi così ricca di biodiversità da essere stata inserita in Rete Natura 2000, cioè i siti naturalistici posti sotto il controllo dell’Europa, sia come SIC, Sito di Interesse Comunitario che come ZPS, Zona di Protezione Speciale.

Oggi per il Monte Cavallo e la sottostante Foresta del Cansiglio, dove domenica 1 luglio si sono radunati circa un centinaio di ambientalisti, fare la pace significa, prima di tutto, che nessuna parte del demanio regionale possa venire messo in vendita; poi che si abbandoni definitivamente l’idea di un collegamento sciistico tra il Pian Cavallo e l’Alpago, vero insulto ad un paesaggio ancora miracolosamente integro.
Ma fare pace significa anche istituire la Riserva naturale regionale del Cansiglio, e mettersi a lavorare affinché il Cansiglio sia riconosciuto dall’UNESCO come patrimonio dell’Umanità: i numeri ci sono tutti.

SCHEDA MONTE CAVALLO

Nel luglio del 1726 due studiosi salirono fin sulla cima più alta del Monte Cavallo. I due erano il modenese Giovanni Zanichelli, uno dei più noti botanici dell’epoca, ed il veneziano Pietro Stefanelli, un farmacista notissimo. Partirono da Venezia a dorso di mulo con lo scopo di esplorare il leggendario “giardino della Madonna”, ritenuto ricco di piante rare o addirittura sconosciute. Non fu un’avventura da poco, considerato che Zanichelli aveva 64 anni e che il percorso per la cima è ancora oggi non banale, da non sottovalutare. Proprio il modenese ne lasciò una relazione scritta in latino dal titolo “J. H. Zanichelli, iter secundum Monti Caballi, itique stirpium nascentium descriptio” che, di fatto, può essere considerata la prima relazione scritta di una salita ad una cima tra Tagliamento ed Adige. Quindi si può dire che l’alpinismo dolomitico sia cominciato proprio con la salita alla cima del Monte Cavallo, nota anche come Cimon del Cavallo o Cima Manera. Ecco uno dei motivi che hanno spinto a individuare questa vetta per inserirla nell’elenco delle montagne con una forte carica simbolica e storica a livello nazionale, scelte per la manifestazione “Facciamo pace con le Montagne”: possiamo considerare l’area un vero santuario botanico nel quale, dalle sue pendici pedemontane alle quote più elevate, si raccoglie oltre un quarto di tutta la flora italiana.

MONTE CORCHIA, ALPI APUANE

Il Monte Corchia mostra evidenti segni di secoli di escavazione del marmo nei versanti ovest e nord, che lo hanno condizionato e modificato con la presenza di numerose cave, in essere o abbandonate, e quello che ne consegue in termini di strade, macchinari, materiali di risulta e non, abbandonati in ogni dove con un evidente degrado in special modo per la presenza di tipologie di rifiuti anche pericolosi.
Ma il Monte Corchia oltre ad essere conosciuto per il marmo arabescato deve gran parte della sua fama a ciò che contiene: l’Antro del Corchia, scoperto nel 1840 da Giuseppe Simi. Il Corchia racchiude infatti la più estesa e profonda grotta naturale del nostro Paese, unisce a lunghezza e profondità da primato (60 km di gallerie esplorate), ambienti di rara e suggestiva bellezza. La storia della speleologia mondiale è passata da qui.
Al clima di collaborazione ed amicizia che aveva caratterizzato le prime esplorazioni sono seguiti anni di dure lotte e contestazioni che iniziano quando parte la proposta di far saltare la cresta del monte, impedita con un sit-in degli speleologi. Da quel momento il clima diviene pesante con minacce ed intimidazioni che culminano, dopo la chiusura momentanea delle cave da parte della magistratura per una serie di abusi e violazioni, con l’incendio della Capannina, il bivacco speleo che caratterizzava la sagoma del monte. Attualmente il clima è migliorato ma le ferite e le incomprensioni restano.

Domenica 1 luglio abbiamo riunito in vetta venticinque persone, giunte da diverse vie d’accesso più o meno difficili, e nel libro di vetta abbiamo depositato la lettera per il Presidente Napolitano. Al sottostante rifugio una sessantina di aderenti del CAI di Viareggio, Pietrasanta, Forte dei Marmi, Massa, Carrara, Garfagnana, Gruppo Speleologico e Soccorso Alpino, TAM Toscana, associazione La Pietra Vivente ed altri ancora. Il Sindaco di Stazzema, competente per la concessione delle cave sul Monte Corchia, ci ha ricevuto con molta apprensione, scaricando le “colpe” sia al Parco Regionale delle Apuane che alla Regione Toscana.
Da una via di cava per la cresta del Corchia si è aperta una voragine da cui si vede una parte dell’Antro. A differenza delle Alpi che hanno problemi con funivie, motoslitte ecc., purtroppo qui le montagne le mangiano, ce le portano via per intero e piuttosto velocemente coi moderni mezzi e col tritolo. Centinaia di camion al giorno portano a valle le Apuane che scompaiono. Chiediamo a tutti di aiutarci a fermare questo scempio!

SCHEDA MONTE CORCHIA

Il Monte Corchia (1677 m) è il baricentro, assieme al Gruppo delle Panie, di tutta la catena delle Alpi Apuane. Unisce alle sue famose bellezze ipogee la varietà paesaggistica ed ambientale, le creste panoramiche, i suoi unici torrioni e le palestre di alpinismo, le miniere di cinabro (mercurio) recuperate e visitabili, i sentieri di varia difficoltà che percorrono anche vasti boschi di faggi e, alle quote più basse, castagni alternati ad antichi alpeggi e torbiere e zone umide, con la presenza di endemismi animali, vegetali e varie specie relitte di piante rare. Il suo complesso carsico è da tempo oggetto di studio per le antichissime origini, evidenziando un archivio naturale pari al fondo degli oceani ed ai ghiacci antartici, con risultati di datazioni di speleo temi dell’ordine di milioni di anni. Riteniamo che il futuro del Corchia non sia più nell’estrazione del marmo con tutti i problemi che ne derivano, ma nella fruizione della “Montagna Cava” e del suo unico ambiente circostante come risorsa escursionistica, didattica, ecologica, naturalistica e di studi scientifici.

AL MONTE TERMINILLO

Quello che alle 9.00 ha lasciato il Rifugio Sebastiani è un serpentone colorato e variegato per età, per genere, per esperienza di ambienti montani. È composto dagli amici appartenenti alle varie sezioni del CAI (Rieti, Antrodoco, Amatrice, Roma) e ad altre associazioni ambientaliste che hanno aderito con convinzione all’iniziativa con lo scopo di portare all’attenzione dei concittadini, dei mass media e delle istituzioni il riconoscimento, nei fatti, del valore culturale, ecologico, etico e formativo delle montagne del nostro Paese. Spicca nella policromia il rosso della ‘divisa’ dei volontari del Soccorso Alpino che, disposti nei punti strategici, seguono il percorso e garantiscono la sicurezza di tutti partecipanti.
In vetta il sole picchia inesorabile. Emozionante lo scenario che si è aperto ai nostri occhi con vista privilegiata verso i monti Sibillini, la Laga ed il Gran Sasso; il tempo per la foto di rito, una bevuta e giù per la ripida Via Normale.

Al rifugio, tra i numerosi presenti, il sindaco di Rieti ed i presidenti delle sezioni CAI di Rieti ed Antrodoco. Le parole con cui Fausto De Stefani dà inizio al suo intervento sono la fotografia del Terminillo, anzi, come sottolinea, dei due Terminilli: il primo, visto arrivando in macchina la mattina, “costellato di cadaveri di vecchi impianti arrugginiti”, l’altro, il versante settentrionale visto durante l’escursione, “un magnifico ambiente ancora intatto”. Fausto si rivolge poi in particolar modo ai bambini, sono loro i destinatari privilegiati delle sue parole, e considera la loro presenza un forte segnale di speranza per il futuro. I bambini, in prima fila, ascoltano attenti e, con orgoglio, distendono ancor più la bandiera della pace.
Fulvio Mamone Capria per la LIPU illustra i contenuti dell’appello al Presidente della Repubblica affinché si faccia garante della protezione della biodiversità e del grande patrimonio ambientale e culturale che le montagne del nostro Paese custodiscono. Per questo la difesa del versante settentrionale del Terminillo dà voce ad un messaggio culturale che va al di là del caso specifico per trasformarsi in una coraggiosa proposta generalizzabile.
Infine il momento tanto atteso: la liberazione del rapace, una giovane poiana ferita da una fucilata, curata nei centri di recupero. Ci si saluta in allegria, con la certezza di aver partecipato a una giornata davvero “particolare” e con l’augurio che la collaborazione che ha permesso il successo di questa iniziativa ci trovi ancora uniti in futuro per la difesa delle nostre montagne.

SCHEDA MONTE TERMINILLO

Il complesso montuoso del Terminillo (2217 m) è il più importante della catena dei Monti Reatini sia dal punto di vista alpinistico e sciistico sia per le caratteristiche ambientali e naturali.
Con il boom economico degli anni ’60 il Terminillo viene ridefinito per far fronte al nuovo mercato del turismo di massa, che di fatto attribuisce alla “Montagna di Roma” un nuovo ed unico significato: quello di stazione sciistica.
Il versante settentrionale presenta boschi di faggio e acero montano, corniolo, pruniolo selvatico, sambuco, nocciolo, e alcuni rari esempi di betulla bianca.
Il versante meridionale, rivolto verso la pianura reatina, presenta invece un paesaggio profondamente alterato da megaresidence cresciuti come funghi, da alberghi riconvertiti in condomini, da colate di cemento per parcheggi, da impianti di risalita per la pratica dello sci di discesa e da numerosi tralicci e ripetitori.

GRAN SASSO e SIRENTE

Due vette in contemporanea in Abruzzo, due escursioni parallele per dare ancor più forza ad un NO al degrado e alla violenza nei confronti delle montagne e un SI alla tutela del paesaggio e della biodiversità e al coinvolgimento virtuoso delle persone che vivono ed operano sostenibilmente nei territori di montagna.
Il Gran Sasso è in pericolo per:
– le frequenti esercitazioni militari che disturbano i camosci, le aquile, i fringuelli alpini, gli escursionisti, gli alpinisti, i pastori e le greggi;
– la realizzazione di nuove funivie e impianti di sci in località dove la neve dura solo qualche settimana con grande sacrificio del paesaggio;
– l’installazione di pale eoliche ai margini dei confini del Parco Nazionale e all’interno di essi;
– l’inquinamento delle acque di superficie e carsiche da parte di alberghi, rifugi, camping, centri abitati privi di rete fognante e di sistemi depurativi;
– l’estirpazione della flora;
– l’alta velocità e rumorosità delle auto e delle moto sulle strade di media e alta quota all’interno del Parco;
– l’accumulo di rifiuti solidi nelle valli, nei boschi, sugli altipiani e sulle vette;
– l’abbandono dei borghi storici da parte degli enti pubblici preposti;
– l’uso di quad e motocross sulle praterie di altitudine e degli altipiani, con gravi danni al cotico erboso e disturbo degli animali selvatici;
– il non aver ancora rilasciato il deflusso minimo vitale alle sorgenti captate per uso potabile che alimentano i fiumi per la fauna e la flora in generale.
Il Sirente è in pericolo per:
– la prevista riduzione dell’attuale perimetro del Parco da parte della Regione Abruzzo finalizzata al rilancio della speculazione turistica ai danni del paesaggio, della flora, della fauna e della nobile storia degli abitanti locali;
– il mancato coinvolgimento della popolazione locale in progetti di valorizzazione dell’ambiente, della storia e dell’arte;
– la mancata progettualità dell’Ente Parco nel recupero dei magnifici borghi dell’Altopiano delle Rocche e dei territori limitrofi;
– la mancata valorizzazione delle peculiarità agricole e pastorali degli altipiani;
– il mancato decollo della ricerca scientifica sulla biodiversità del Parco con gli enti e le Università.

La manifestazione sul Corno Grande e sul Monte Sirente è stata un grande successo. Con i partecipanti ufficiali, altri hanno condiviso il tema della giornata facendo salire il numero complessivo per le due montagne a 120 partecipanti. Dalle vette MW, unitamente alle altre associazioni presenti, ha rivolto un appello per un aggiornamento della legge 394/91 sui Parchi, fatta con saggezza nell’interesse della natura e delle popolazioni locali ancora fortemente legate alle economie sostenibili con le finalità di un’area protetta. Al termine della manifestazione sono state pulite le due vette dai rifiuti solidi abbandonati da escursionisti irrispettosi della natura.

SCHEDA GRAN SASSO E MONTE SIRENTE

Il Gran Sasso d’Italia è la montagna più alta di tutti gli Appennini continentali; l’intero Gruppo misura circa 50 km in lunghezza e 15 km in larghezza. Le cime maggiori si trovano nella sottocatena settentrionale: il Corno Grande (2912 m) e il Corno Piccolo (2655 m). Incastonato dentro una conca e protetto dalle tre vette che costituiscono il Corno Grande si trova il Ghiacciaio del Calderone, il più meridionale dei ghiacciai europei.

Il monte Sirente (2349 m), unitamente al monte Velino, dà il nome al Parco regionale omonimo. Le profonde gole nella parete nord sono state determinate dall’azione dei ghiacciai dell’ultima glaciazione pleistocenica. Il lato sud della catena invece digrada più dolcemente verso la piana del Fucino attraverso una serie di prati e di gobbe, ricchi di erba da pascolo e di fieno di montagna; fanno eccezione le Gole di Celano, comprese anch’esse nel massiccio.

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