La ragazza contro la fine del mondo

Pubblichiamo una riflessione di Danilo Selvaggi, Direttore generale Lipu

Danilo Selvaggi, Direttore Generale Lipu

1.
Gli attacchi a Greta Thunberg non si fermano.
La maggior parte (e quelli più violenti) viene dal fronte avverso, ma ci sono critiche anche dal campo amico, che pure condivide il messaggio e la visione di cui Greta si è fatta portatrice.
Di queste critiche ne riporto una (più o meno alla lettera), che mi aiuterà a dire alcune cose.

2.
“Una ragazza che parla alle Nazioni Unite, per trasformare il mondo, è una favola, abbastanza inspiegabile, che porterà pochi risultati. Greta è un fenomeno di moda. Non inciderà perché non produce cultura e non cambia le coscienze. Lascerà il tempo che trova”.

Climate Action Summit 2019: Programme Opening Ceremony: • Remarks by the Secretary-General • Youth dialogue with Secretary-General

3.
Ora, in questa critica ci sono almeno due aspetti di rilievo, molto utili da considerare. Il primo, che affronto subito, riguarda il tema della “favola” e della sua “inspiegabiltà”.
Una sedicenne parla alle Nazioni Unite e tutti le danno ascolto. Che cosa sta accadendo? A quale genere di evento assistiamo? Perché il mondo, all’improvviso, ha scoperto la questione ambientale?

4.
In realtà, gli avvenimenti sono spiegabili eccome. L’exploit della questione ambientale (i milioni di cittadini che protestano, l’attenzione dei media, l’interesse della politica ai più alti livelli) dipende da almeno tre fattori:
1) la crescente percezione della crisi ambientale e del suo aggravarsi, confermato anche dai report di esperti organici al “sistema”. In sostanza: è ormai impossibile far finta di nulla;
2) il lento lavoro – un lavoro di lunga gittata. Decenni di studi, ricerche, politiche, azioni – prodotto dalla scienza e dall’ambientalismo storico;
3) l’avvento sulla scena di una singolarità, di un X Factor quale è Greta Thunberg, con la relativa impennata mediatica. Greta come momento esponenziale di una crescita lineare (quella, appunto, della scienza e dell’ambientalismo storico).
Messi assieme, questi tre fattori (ai quali tra un attimo ne aggiungerò un quarto) spiegano gli avvenimenti. La crisi è reale e seria, la scienza e l’ambientalismo lo hanno fatto capire e infine arriva lei, Greta, l’X Factor, con il coraggio e la capacità (in parte innata, in parte costruita) di attivare milioni di ragazzi, milioni di persone.

5.
Un quarto fattore completa il quadro. Lo definisco “delle tre crisi”. Sì, perché la crisi non è soltanto ambientale. C’è appunto una crisi ambientale globale ma c’è una crisi economica globale e c’è una crisi della struttura politica del mondo, del multilateralismo, dell’organizzazione internazionale degli stati.
Tre problemi molto seri (che si aggraveranno) a cui – questo è il punto – la conversione ecologica può dare tecnicamente risposta. Perché la conversione ecologica affronta la crisi ambientale, stimola una rivoluzione economica e sociale, vincola gli Stati all’internazionalismo, li spinge a rafforzare le politiche multilaterali.

6.
Dunque, da una ragazza di sedici anni dipende tutto questo. Sembra una favola ma non lo è. C’è un mondo di cose dietro Greta, spontanee e artificiali, autonome e istituzionali. C’è un intero sistema che in lei converge (e in un certo senso converge bene). C’è il fatto che mai, nella storia, sistema e antisistema sono stati così vicini. Il sistema è costretto a riflettere, a scendere a patti. Ad abbattere i primi muri, abbandonare certe scuse. Certe, non tutte. Non è il paradiso in terra (dal paradiso in terra siamo molto lontani) ma è una luce, una fiammella nella notte dell’ingordigia, della divisione e della distruzione.

7.
E veniamo alla seconda critica, la critica culturale: il carattere effimero dell’azione di Greta. Un punto che mi interessa molto e che ritengo cruciale.

8.
Il fattore 2) (il lento lavoro della scienza e dell’ambientalismo) e il fattore 3) (la “singolarità Greta”) sono in qualche modo esempi, rispettivamente, di un’educazione profonda e di un’educazione leggera.
La prima (che chiamerò “E”, maiuscola) agisce in profondo ma su poche persone e con tempi lunghi. Ha la forza della penetrazione ma la debolezza della lentezza. Richiede studio, grande pazienza. Non corre ma scava. Non mobilita ma trasforma. È un’educazione geologica.
La seconda (che chiamerò “e”, minuscola) agisce in superfice ma rapidamente e su molta gente. Ha la debolezza del momentaneo ma la forza della velocità. Non scava ma graffia. Non trasforma ma mobilita, influenza. È un’educazione fisica, di menti e corpi giovani.

9.
Noi abbiamo disperato bisogno di queste due culture, di queste due educazioni. Di entrambe. Oggi come non mai. Abbiamo bisogno di unirle, di farle sposare. Il matrimonio di “E” maiuscola ed “e” minuscola. Abbiamo bisogno di tempi lunghi e di velocità, di monumenti e di farfalle, di sinfonie e di brevi canzoni. Abbiamo bisogno delle une (per una missione) e delle altre (per un’altra missione). E per questo, abbiamo anzitutto bisogno di liberarci dall’antico pregiudizio che nutriamo contro la pop-culture: il pregiudizio secondo cui leggerezza è, ontologicamente, uguale a vacuità. Un pregiudizio deleterio, a causa del quale abbiamo lasciato la cultura leggera nella potestà dei più scaltri, che ne hanno fatto scempio: stupidaggine, volgarità, trucco, inganno, noia, violenza, strumento di propaganda e di conquista. Insomma, hanno fatto quello che si fa quando ti lasciano il campo: i propri comodi. Vittoria facile.

10.
Ecco, dalla favola-non favola di Greta Thunberg arriva anche questo messaggio: che molti luoghi comuni della storia (cioè del mentale) vanno abbattuti. Molte opposizioni fittizie, molte divisioni artefatte.
È un punto cruciale, un comandamento dei nostri tempi, una linea-guida per il domani.
Ecologia della mente. Ecologia del quotidiano, del pubblico, del privato, delle virtù, del linguaggio, delle relazioni, del pensiero. Ecologia della metamorfosi. Ecologia veramente integrale.
Nuove librerie, nuovi occhi per nuovi mondi.
Lo so, è facile a dirsi e difficile a praticarsi, ma è quello che ci aspetta, nient’altro che quello che ci aspetta, se abbiamo le giuste intenzioni.
La fine del mondo – Greta o non Greta – la si combatte anche così.

11.
“Avvicinarsi al futuro da amici, senza quell’intero guardaroba di scuse”.
(W. H. Auden, In memoria di Sigmund Freud).

Danilo Selvaggi, direttore generale della LIPU