Ma l’orso non scompaia
Di Enrico Camanni. Copyright: La Stampa
L’opinione pubblica è già divisa in due: uccidete l’orso cattivo, risparmiate il povero animale. Succede sempre così, come se i problemi che ci angosciano avessero solo due colori, bianco o nero, senza sfumature. Come bastasse deviare l’ultimo rivolo del fiume per evitare l’alluvione. Ne è nata addirittura una spaccatura ideologica, perché è molto più facile schierarsi con un partito che porsi il problema, indubbiamente complicato, della presenza e del ruolo dell’uomo in un ecosistema, del nostro diritto a difenderci, offendere, prevaricare.
Pur condividendo la pena di chi ha perso una persona cara e i timori di chi si sente minacciato, è chiaro che la convivenza tra noi umani e i grandi carnivori – in particolare l’orso e il lupo, sulle Alpi – non si può ridurre al comportamento deviato di qualche esemplare, perché basterebbe abbatterlo e si chiuderebbe la questione. Che invece è molto più complessa e presuppone una scelta, prima di tutto. Vogliamo restare gli unici predatori nel nostro habitat? Intendiamo eliminare tutte le specie “antagoniste” per sigillarci in quel mondo a misura e dismisura d’uomo che gli scienziati hanno ribattezzato Antropocene? Se la risposta è affermativa, abbiamo la tecnologia per uccidere e non c’è specie in grado di resisterci. Ma siamo davvero sicuri di essere gli unici predatori “utili”? Siamo proprio certi di non appartenere anche noi, come ogni specie, a quel fragile e prezioso equilibrio naturale in cui tutto si tiene e niente andrebbe sprecato? Un esempio: la gente si lamenta per il proliferare dei cinghiali che devastano le colture e assediano i centri abitati, senza considerare che dove è arrivato il lupo il cinghiale è stato ridimensionato, e così gli ungulati in eccesso, preservando i boschi e ricreando equilibrio.
Evidentemente la presenza dell’orso nelle foreste trentine, che sono bellissime e molto estese, ma non come quelle dei parchi nordamericani, implica equilibri e approcci inediti. Forse una nuova cultura. Come l’orso dovrà imparare a convivere con la presenza umana – i montanari tutto l’anno e i turisti nelle settimane delle vacanze –, noi dovremo renderci conto che lassù non tutto ci è permesso, molto ma non tutto, perché c’è un altro grande mammifero che abita quelle montagne, e da un certo punto di vista ci sembrerà intollerabile, abituati come siamo ad agire senza limiti, ma un diverso sguardo potrebbe trasformarsi in fonte di seduzione. Come tutti vanno a Yellowstone per sfiorare la leggenda del grizzly, accettando precise regole e rigide limitazioni, desta fascino e mistero anche l’orso di casa nostra, un animale diventato mitico dopo gli stermini dei secoli scorsi, in seguito alla scomparsa e al successivo ritorno. L’orso incarna quel poco di selvatico che ci resta e per godere della sua presenza possiamo anche modificare qualche comportamento, ascoltare la voce profonda della natura, adattarci.
So bene che i montanari e i cittadini non la vedono allo stesso modo, sembra inevitabile, ma credo che le semplificazioni punitive dei primi e i sentimenti sdolcinati dei secondi siano le due facce di un problema mal posto. Gli orsi e i lupi al tempo di internet non sono un moderno flagello e nemmeno una vecchia favola per bambini. Sono piuttosto un esperimento di convivenza per adulti disincantati e spaventati: il tentativo, possibile, di coabitare con degli esseri molto diversi da noi e forse con la parte misteriosa di noi stessi. Lo scrivo da cittadino: non mi scandalizza la soppressione di un animale pericoloso, ma mi turberebbe la scomparsa degli orsi. La considererei una sconfitta per noi e una perdita per i nostri figli.
Enrico Camanni