Pericolo e ossessione della sicurezza

Società securitaria e alpinismo, alcune considerazioni di Alessandro Gogna. Copyright: Gognablog

Alessandro Gogna

Marmolada, 3 luglio 2022, ore 14.30: un’enorme massa di ghiaccio si stacca dalla parte alta del ghiacciaio e scivola a valle, trascinando detriti e uccidendo undici alpinisti. 

Subito parte la litania dei “si poteva” e dei “si doveva”: prevedere, informare, monitorare, vietare. Con gli inevitabili colpevoli individuali e istituzionali che, a vario titolo, non hanno previsto, informato, monitorato, vietato. La tragedia, si è detto e scritto, sarebbe stata certo evitata se fossero state messe in atto le giuste misure di divieto, monitoraggio, informazione e prevenzione. Un circolo vizioso che pare individuare nella strada normativa dei regolamenti, dei divieti e dei patentini l’unica possibile per frequentare la montagna in sicurezza. 

Addio dunque al mito dell’alpinismo avventuroso e libero?
Io sono ottimista, resto sul sentiero della libertà. Credo che tutte queste normative non ci saranno o saranno transitorie, e che alla fine prevarrà il buon senso. Non escludo che proprio questi tentativi illiberali ci siano alla fine utili per apprezzare meglio di cosa noi alpinisti possiamo ancora godere e che quindi ci rafforzino nel compito della difesa delle nostre libertà.

Non nascondiamoci che questo gioco dell’andare in montagna muove anche parecchi interessi economici, quindi non potrà mai essere regolamentato in maniera eccessiva.
Attenzione però a non confondere la libertà con l’incosciente e infantile irresponsabilità. Se si parla di libertà, occorre sempre intendere la libertà di scegliere consapevolmente e responsabilmente. “Libertà e consapevolezza” è un tema al quale sono attento da molti anni, assieme ai primi che hanno realizzato la presenza di ciò che ci minacciava. È del 2011 una serie di riflessioni, suscitate dagli incontri con gli alpinisti francesi delle Assises de la Montagne et de l’Alpinisme, sulla questione della cosiddetta “securizzazione”, cioè dell’ossessione per la sicurezza e delle sue conseguenze per l’alpinismo. Nel 2014, poi, ci fu la Lettera aperta a Raffaele Guariniello, pubblico ministero di Torino, da parte dell’Osservatorio della libertà in montagna e in alpinismo. In quella lettera, alla quale contribuii in modo sensibile, si analizzavano in dettaglio i concetti di libertà, sicurezza, rischio, consapevolezza e responsabilità, declinandoli nella pratica alpinistica. 

La libertà in alpinismo – si leggeva nella lettera – è facoltà di determinare in autonomia le scelte che ci riguardano, sia come singoli che come componenti di una collettività, ma con la consapevolezza del rischio che si corre e dei danni ad altri che possono derivarne. Non esistono la pretesa e la certezza di essere soccorsi sempre, comunque e in ogni condizione”. Questa pretesa, si può aggiungere oggi, è un errore culturale grave, da combattere con grande determinazione: la libertà non va limitata ma autoregolamentata coscientemente.
Ci si può domandare se, dopo la tragedia in Marmolada e con la crisi climatica, sia cambiato qualcosa nella riflessione iniziata dieci anni fa.
Mi sento di rispondere che i principi dichiarati allora restano validi anche oggi. Come alpinista, e come uomo, sono convinto che l’essere umano abbia bisogno di uno spazio di libertà, di autodecisione. Questo spazio ci dovrebbe essere per tutti coloro che ne sentono il bisogno. Che poi sia in montagna o in altre zone avventurose questo è poco importante: che sia il mare, che sia la grotta o che sia la traversata dell’Antartico.
E’ un’esigenza basilare per chi ha a cuore l’evoluzione umana in generale e punta alla realizzazione del proprio destino individuale.

Moregallo. Foto: Sergio Ruzzenenti

Al contrario, la società che in passato difendeva e incoraggiava questa tendenza oggi è cambiata, è diventata schizoide, in una specie di inconsapevole deriva globale. Da una parte c’è una richiesta sempre più ossessiva di sicurezza, dove il cittadino tende a ‘farsi servire’ dal punto di vista della responsabilità. Dall’altra dilaga la filosofia del ‘no limit’, che intacca pericolosamente l’atteggiamento di rispetto e attenzione che un amante della montagna e della natura dovrebbe avere. Ma non esiste libertà senza limiti. Solo se abbiamo dei paletti tra i quali ci possiamo aggirare e scegliere una strada, possiamo essere persone libere.

La libertà di cui parlo non è quella che si divincola ciecamente dalle maglie delle norme e dei divieti. È, semmai, quella che non ha bisogno né di regole né di divieti, perché autoregolamentata, educata, cosciente. 

Nella stessa direzione vanno i cinque principi enunciati nel recente Manifesto delle Guide Alpine venete, prodotto proprio in ricordo e come risposta istituzionale ai fatti di luglio 2022 sul ghiacciaio dolomitico. Diritto alla frequentazione libera, etica e responsabile; educazione e conoscenza; rifiuto della visione della montagna come infrastruttura di svago regolamentata; attenzione ai cambiamenti climatici; partecipazione: questi in estrema sintesi i punti del Manifesto. Forse è proprio in quel documento che possiamo leggere un’attualizzazione della riflessione sul tema ‘alpinismo e libertà’. Sono rimasto piacevolmente sorpreso e colpito dall’uscita di questo Manifesto. Le Guide Alpine venete sono una realtà importante e autorevole nel mondo alpinistico, e in quel documento hanno fatto dichiarazioni ferme e coraggiose. Proprio quello che ci voleva in questo momento.

Marmolada, crollo del seracco. Estate 2022

Al primo punto del Manifesto si parla del “sapere che viene dall’esperienza” come fattore di mitigazione dei rischi oggettivi. Tra le tante e confuse voci che si sono levate subito dopo il crollo del ghiacciaio, si è anche detto che agli alpinisti della Marmolada mancava forse questo sapere. Ma secondo me in quella tragedia, esperienza e incoscienza non c’entrano.
Ho cercato di mettermi nei panni di coloro che si son trovati quest’estate sulla Marmolada. Se io fossi stato lì, con i miei amici, sarei salito e sceso dal ghiacciaio senza aver dubbi sulla sua pericolosità. Francamente niente faceva pensare che avrebbe potuto staccarsi una fetta di ghiaccio grossa come quella. Perché non c’era niente che pencolava, niente che potesse cadere giù da un momento all’altro.

Sostanzialmente è questo che dobbiamo accettare: una porzione di imprevedibilità. A ben guardare, la nostra missione, come alpinisti, è nella ricerca dell’involontario: il momento in cui l’essere umano si trova, come stregato, immerso nell’imprevedibile è quello che gli dà la chiara dimensione della sua natura. E questo è così impagabile da far pensare che le minacce di divieti e la schizofrenia della società alla fine riescano solo ad alzarne il prezzo.

Alessandro Gogna