«I vincoli possono fare un gran bene al turismo». Parola del professor Francesco Comiti
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«Il Comelico è come Venezia: i vincoli paesaggistici possono solo aiutare lo sviluppo del territorio». E allora perché cittadini, sindaci e imprese non li vogliono? Domanda complessa. Ma il professor Francesco Comiti non si tira indietro. Anzi: propone la sua ricetta per spiegare che la materia vincolistica «permette in realtà di fare tutto. A patto che si faccia bene».
Comiti è docente universitario a Bolzano. Coordinatore della laurea magistrale in gestione delle aree montane, quindi esperto in materia vincolistica. Veneziano d’origine, ma con il cuore a Belluno (dove da sempre viene in vacanza e dove ha trovato moglie), interviene in una questione che più spinosa non si potrebbe.
Anche perché il Comelico si sta muovendo per rimandare al mittente i vincoli. Fa bene?
«In realtà la vincolistica che prevede limitazioni, come quella che oggi riguarda le aree di Auronzo e del Comelico, è fatta apposta per evitare che il paesaggio venga deturpato. In quanto tale è necessaria e costituisce un punto di forza enorme per il turismo».
In che senso?
«Nel senso che certifica la bellezza dei luoghi e impedisce che quella bellezza possa venir meno. Questo per un turista è fondamentale. Vale lo stesso discorso per Venezia: se non fossero state imposte limitazioni alla tipologia edilizia, oggi non sarebbe rimasta il gioiello che tutti vogliono vedere. Quindi i vincoli sono un’occasione per lo sviluppo turistico».
I sindaci e i cittadini, però, sostengono che succederà l’esatto contrario: che il Comelico morirà di vincoli.
«Il Comelico era una delle poche zone non ancora soggetta a vincoli. E non mi pare che finora avesse tutto questo sviluppo turistico. Quindi è scorretto dire che il turismo muore con i vincoli. E poi il riconoscimento di notevole interesse pubblico di quelle zone non preclude nessun tipo di intervento: si può fare tutto, purché sia fatto bene, senza deturpare i luoghi».
Già oggi però ci sono molte pratiche ferme negli uffici dei Comuni coinvolti dal notevole interesse pubblico. Pratiche normalissime, come il cappotto termico o la sostituzione dei serramenti…
«Servono sforzi progettuali diversi. Più accorti. Più sensibili».
E più soldi…
«Certo. Ma se vivere in montagna costa di più, ci devono essere le risorse per far sì che i cittadini possano mettersi a posto casa in modo sostenibile, senza aggravio di spese. Ci devono essere aiuti specifici in tal senso. Lo Stato deve farsi carico delle azioni che permettono ai comelicesi e agli auronzani di vivere in Comelico e ad Auronzo, per preservare la bellezza dei luoghi. È giusto mettere il vincolo, che prescrive alcune attività, ma al contempo, se non ci sono risorse per supportare le operazioni di manutenzione e per dare una ribaltata totale agli alberghi, non si va da nessuna parte».
E il collegamento sciistico?
«Sono dubbioso. Ormai la neve è sempre meno e sempre più inaffidabile. Puntare il riscatto del Comelico solo sul collegamento sciistico è pericoloso. Non si va verso uno sbocco invernale che durerà pochissimo? Non è meglio pensare a uno sviluppo estivo e primaverile? Detto questo, i progetti ben fatti possono andare avanti anche con i vincoli. Servono fondi pubblici per mettere in piedi un piano di sviluppo del territorio. Per consentire, all’interno delle indicazioni del vincolo, un’ottica di sviluppo turistico che oggi comunque non c’è».
Come mai non c’è?
«La Regione e i Psr non hanno mai sviluppato risorse sulla montagna. Al contrario di quanto ha fatto l’Alto Adige, che ha sempre avuto come priorità l’erogazione di risorse per le attività di alta quota. Il Bellunese non ha avuto gli aiuti necessari».
Sci a parte, il Comelico su cosa dovrebbe puntare?
«Bisogna investire sul marketing. Prima però è necessario varare un piano di sviluppo. Penso ad esempio alle malghe e all’industria del bosco. Penso al treno delle Dolomiti sommato alla rete di ciclabili. La sfida è fare sviluppo avendo a cura l’ambiente. Cose già fatte, in Austria e in Alto Adige».