Nuove strategie per le Terre alte

Siamo contrari alla realizzazione di nuove infrastrutture, nuovi impianti o all’ampliamento degli esistenti. Di Erminio Quartiani, Vicepresidente Cai. Per gentile concessione di Montagne 360

Il turismo invernale in montagna, e quello che si avvale comunque in tutte le stagioni di impianti di risalita, sarà sempre più costretto a radicali cambiamenti, non solo dettati dalla
domanda di novità che da tempo chiede di andare oltre la monocultura dello sci da discesa, ma anche dovuti alle profonde modificazioni indotte dall’impatto che, sulle attività
turistiche delle Terre alte, avranno i cambiamenti climatici.

Inverni interi senza neve, supplita da quella artificiale, lasciano il passo a un inverno ‘17/’18 invece con neve copiosa, tale da mettere in crisi il sistema di viabilità e trasporti e rendere irraggiungibili o impraticabili per giorni e settimane numerose località sciistico-turistiche invernali.
Gli eventi estremi colpiscono con intensità le zone montane, lasciandosi alle spalle dissesti idrogeologici, pericoli e disastri di ogni tipo, facendo saltare programmi e investimenti e presentando un conto economico per gli operatori pubblici e privati di forte impatto non solo sull’anno corrente. Non si tratta più di un’emergenza ma di una costante, alla quale serve rispondere con nuova progettualità e visione del futuro da costruire in modo condiviso dalle comunità e dalle popolazioni che vivono nelle Alpi e negli Appennini, aperto al contributo di
idee, progetti, comportamenti innovativi degli attori dell’offerta turistica e all’apporto di
risorse anche economico-finanziarie capaci di incidere sul modo di vivere la montagna invernale ed estiva dei suoi “consumatori” abituali, chiamati essi stessi a rendersi avvertiti frequentatori di un ambiente fragile che ha bisogno di pratiche dolci di frequentazione,
di minore impatto e invasività, di attenzione a ciò che propone la sua biodiversità, di sostenibilità, e a cambiare così la qualità della domanda turistica.
Le strategie di innovazione e di adattamento, dunque, hanno bisogno di agire anche
sul fronte della domanda, non solo su quello dell’offerta. È qui che il Cai gioca il suo importante ruolo di propositore di una fruizione consapevole e corretta dell’ambiente montano e della sua difesa, senza ideologismi o prese di posizione aprioristiche, perché
con l’attività delle sue sezioni e dei suoi organi tecnici contribuisce in misura rilevante
a formare la domanda di montagna e, contemporaneamente, a determinarne l’offerta
attraverso diverse soluzioni per la pratica dell’ambiente montano.

Gletscherhorn. Foto: Sergio Ruzzenenti

Il Cai ha perciò non solo il diritto ma anche il dovere di pronunciarsi su progetti e proposte
di investimento in impianti di risalita che, in numero considerevole, da più parti sono arrivati alla ribalta delle cronache locali e nazionali in questi ultimi tempi, riguardanti sia le
Alpi che l’Appennino.
È ormai chiaro che, in campo economico, occorrono strategie di adattamento ai cambiamenti climatici e strategie innovative dell’offerta turistica invernale capaci di attrarre le nuove generazioni e potenziali nuovi turisti, sciatori o no che siano. Ma tutto ciò non può essere concepito a dispetto dell’ambiente e del paesaggio alpino e appenninico. Anche in
una prospettiva di salvaguardia della vivibilità e della permanenza delle attività umane
nelle Terre alte, sempre meno dipendenti da vecchie e stereotipate progettazioni di ampliamento o realizzazione di impianti e infrastrutture sciistiche, il Cai in questi frangenti
ribadisce il proprio impegno solenne assunto in materia durante l’assemblea dei delegati a
Torino, in occasione del 150° con l’approvazione del Bidecalogo.
Come Cai siamo impegnati per lo sviluppo sostenibile delle Terre alte e per porre fine
alla devastazione dell’ambiente montano operato nel secolo e nei decenni scorsi.
Siamo contrari alla realizzazione di nuove infrastrutture, nuovi impianti o all’ampliamento
degli esistenti. Proponiamo di fare bene i conti di costi/benefici laddove già esistano impianti e infrastrutture, perché ormai il pubblico (dunque i contribuenti) è chiamato quasi ovunque a salvare dalla bancarotta intere stazioni sciistiche che non hanno saputo rinnovarsi, cambiare passo e adattarsi alle nuove condizioni climatiche, oltre che alla
nuova domanda di turismo montano, lento, partecipato, culturalmente attento alle tradizioni locali, attratto dalla particolarità del paesaggio e dalla specificità della biodiversità caratteristica del territorio, in grado di diversificare la proposta turistica e di renderla
fruibile lungo l’intero anno.

Verso i canali del Cervandone. Foto: Sergio Ruzzenenti

Il Cai è impegnato a contrastare la realizzazione di nuove opere a fune, a impedire la realizzazione di nuove stazioni sciistiche sotto i duemila metri (e a ridurre l’impatto sino a
prevederne la crescita zero sopra i duemila metri). Intendiamo impegnarci per impedire
ampliamenti dei comprensori sciistici esistenti.
Appoggiamo e appoggeremo come Cai tutte le iniziative di sostituzione dell’attività sciistica con il turismo dolce e ambientalmente orientato alla sostenibilità, soprattutto nelle
località minori delle Alpi e dell’Appennino.
Così come sosterremo ogni forma di collaborazione tra istituzioni, enti pubblici e privati, comuni e comunità locali che intendano mettersi in rete per valorizzare le specificità
locali, la tipicità ambientale, le tradizioni dell’accoglienza, così potenziando anche
servizi tra loro complementari all’offerta sciistica (un modo per riorientare la domanda
e ridurre l’impatto della congestione su aree montane sovraffollate).
Il Cai non chiude gli occhi. Sa che il passaggio a un turismo montano, invernale e non, di
tipo sostenibile sarà un processo che va accompagnato con saggezza e paziente lavoro
di cucitura, nella consapevolezza di quanto sia stato e sia importante il turismo invernale
(ed estivo) per l’economia e le popolazioni di montagna, dalle quali soprattutto può provenire l’impulso a innovare l’offerta turistica e a respingere tentazioni di apparente facile
investimento in nuove infrastrutture di massa, che trovano sempre venditori di sogni che
tali non sono e richiamano solo obsolescenza e continui fallimenti, anche di mercato.

Erminio Quartiani