Nuovi impianti a Devero: valorizzazione o speculazione?

Erminio Ferrari scrive al sindaco di Baceno Stefano Costa in merito all’ipotesi di nuovi impianti a Devero. Se ne era già parlato QUI, QUI e QUI.

Erminio Ferrari (1959) è nato e vive a Cannobio (Vb). E’ giornalista, fotografo, alpinista e scrittore ed è soprattutto un grande conoscitore delle montagne e della storia dell’Ossola.

Erminio Ferrari dialoga con Alberto Paleari durante il festival Letteraltura. Foto: Letteraltura

Signor Costa,
constato che gode di buona stampa a proposito del progetto “Devero-San Domenico-Teggiolo, ma non credo che questo legittimi la manipolazione del significato delle parole, l’alterazione della realtà o la perdita della misura.
Sono quei “meno di cinquanta metri in cresta” (La Stampa 15 novembre) che mi spingono a scriverle. Perché delle due l’una: far credere che si limiti a quel dettaglio la problematicità del progetto è indice di malafede o di non conoscenza. E non so quale sia la peggiore. In realtà non si tratta di cinquanta metri, fossero solo dieci sarebbe lo stesso: il complessivo progetto da lei vantato appartiene a una “cultura” che con la montagna ha ben poco a che fare, ma molto con un concetto di sfruttamento delle risorse (anche immateriali, come la bellezza di un paesaggio), senza curarsi della loro deperibilità, del loro esaurimento. L’opposto del “tener da conto”, grazie al quale per secoli sono sopravvissuti i montanari.

Perciò, non si parli di “valorizzazione del territorio”, ma di business; non di “interesse pubblico”, ma di speculazione privata.

Il Cervandone. Foto: Luigi Ranzani

In questo caso il “boccone” è la montagna. Si tratta di decidere se servirlo senza neppure riflettere.
Il territorio ossolano vale da sé, per la sua bellezza e la sua storia. Immaginare che necessiti di suppellettili per essere attrattivo è un concetto che lo svilisce. Se poi tali suppellettili sono funzionali a una industria del divertimento, quale è quella che produce e lucra sulla esasperata facilitazione meccanica degli accessi a territori ancora defilati, allora il concetto è quello di Gardaland. Come questo possa associarsi a una presunta “cultura di montagna” aspetto che qualcuno me lo dimostri.
Credo – per avere a lungo frequentato uomini di quella fibra e sapienza – che i costruttori delle stalle di Misanco, Buscagna, delle Balmelle abbiano sognato per i propri nipoti un futuro sgravato dalle fatiche più pesanti, un benessere ragionevole e istruzione adeguata. Dubito che li avrebbero immaginati felici di avere come professione quella di infilare il piattello dello skilift tra le gambe della sciatrice, o di bucare i biglietti alla partenza della funivia. Questi sono lavori “di” montagna?

Verso la Scatta d’Orogna. Foto: Nicola Pech

Quanto al concetto di comprensorio sciistico, anche questo non so se è un abbaglio o fumo negli occhi. È dimostrato che l’industria dello sci di pista è deficitaria sull’intero arco alpino, eccetto poche aree in alta quota e quelle che inghiottono fondi pubblici ad appianamento dei deficit. Sciare, semplicemente, costa troppo per sempre più persone. Quanto alla neve è persino desolante dover ripetere cose ben note. E che sono confermate dalla necessità stessa di prevedere in anticipo di doverne produrre artificialmente. Leggendo poi della “maxi stazione” estiva c’è da restare basiti. Chi frequenta Devero o Veglia sa bene che il loro richiamo sono i sentieri, le traversate, le salite. A piedi, naturalmente. E basti questo, chieda ai gestori dei rifugi e delle locande locali.
Ma la cosa che più sconcerta e avvilisce è vedere rivendicata come un merito la postura degli amministratori locali col capello in mano davanti al mitizzato “investitore privato”. Non bastasse l’indecente atteggiamento da “padroni dei luoghi” dei privati che hanno in concessione le aree sciabili, ora gli si vuole attribuire lo status di benefattori. Lei, presidente di una provincia che fatica a trovare soldi per liberare le strade dalla neve (così che chi abita davvero nelle valli non resti isolato), o riparare gli edifici scolastici (così che il diritto allo studio non resti una vana espressione) vuole raccontarci che degli eventuali guadagni di una società privata beneficerebbe la collettività? Lei vuole raccontarci che le valli si spopolano perché c’è chi si oppone alla loro trasformazione in periferia di svago metropolitano? O lo fa per rinviare il momento in cui il possibile crack di tale assurda impresa dovrà essere sanato a spese di tutti. I cadaveri di calcestruzzo e ferro arrugginito disseminati anche sulle nostre montagne ne sono testimoni muti, e tuttavia eloquenti.
Non voglio farla lunga e non pretendo attenzione per queste misere considerazioni. Ma se mai le venisse di rispondere, la prego di non usare come argomento “la fate facile voi che non abitate in valle”. E a chi, prevedibilmente, reagirà con il noto “padroni a casa nostra”, suggerisco di chiedersi se non sta soltanto scegliendosi un padrone nuovo.

Con rispetto

Erminio Ferrari